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17 March 2013

04 February 2013

06 December 2012

Il vino sfuso da Eataly Roma



Lungi da me dare giudizi su Eataly, la Corazzata delle Eccellenze e del Gusto made in Italy.

Come ogni iniziativa ha sicuramente aspetti positivi ed altri un po’ meno ma confido sempre nel discernimento del pubblico nel valutare pro e contro.

Voglio invece attirare l’attenzione sulla presenza del vino sfuso nella parte che Eataly Roma dedica ai vini.

Non voglio parlare della qualità dei vini sfusi proposti in quella sede. Non li ho assaggiati e non posso dare nessuna valutazione. Non mi piace neppure giudicare in malo modo aprioristicamente un vino solo perché è sfuso. Sarebbe infatti un gravissimo errore.


Per esperienza personale infatti, girando per vignaioli e cantine, mi è capitato di imbattermi in vini sfusi di buona qualità; in alcuni casi ho avuto il piacere di sorprendermi assaggiando vini sfusi di cui mai avrei immaginato le potenzialità.

In un caso poi ho avuto la fortuna di incontrare una malvasia sfusa di un’azienda del beneventano realmente sorprendente, di gran livello, superiore a gran parte dei vini bianchi imbottigliati presenti sul mercato italiano.

Quindi ciò che critico negativamente non è il vino sfuso offerto da Eataly Roma ma la sua presenza stessa all’interno di Eataly Roma, che lo presenta e vende nel corner dedicato a tutti gli altri vini ben etichettati ed imbottigliati.

Eataly dovrebbe rappresentare un palcoscenico privilegiato dove dare bella mostra delle eccellenze enogastronomiche del suolo patrio. Tutto ciò a vantaggio sia del consumatore italiano che, ad esempio, invece di fare un centinaio di chilometri per acquistare un caprino di qualità, se lo trova già bello e pronto nel banco formaggi, sia del turista – cosa credo essenziale nella strategia di Eataly Roma – che ha a portata di mano mille prelibatezze da gustare e magari pubblicizzare al suo ritorno a casa.

Solo che il vino sfuso non è eccellenza, non rappresenta e non ha mai rappresentato il meglio di ciò che l’Italia enoica può produrre, anzi spesso il peggio.

Il vino sfuso è indissolubilmente legato ad un bere di anni fa – anche se se ne producono quantità industriali ancora oggi – quando si badava solo alla quantità, quando il vino era un vero e proprio alimento per il contadino e più che consumarsi consapevolmente in un wine-bar assaggiandone le diverse annate, cercando di comprenderne qualità e caratteristiche, si beveva per nutrirsi, per apportare utili calorie al proprio corpo. Ed in questo la qualità non c’entra proprio nulla.


Il vino sfuso era il risultato di un’dea di vigna che doveva solo ed unicamente produrre, fare centinaia di quintali di uve per ettaro; solo la quantità era il vero Dio.

Ciò che si otteneva era evidentemente molto lontano da ciò che per noi oggi è un vino di qualità.

Il vino di qualità è un vino frutto di cure attente nei riguardi della vite che deve avere una produzione limitata per poter esprimere al meglio le proprie peculiarità e che non deve essere “munta” come una vacca frisona – che tra l’altro dovrebbe essere allevata in tutt’altro modo - , per farle produrre 300/400 quintali per ettaro.

Il vino di qualità si fa in un vigneto di qualità, in un territorio curato e non vilipeso da continui trattamenti chimici o sottoposto a massacranti “torture” con antiparassitari.

Il vino di qualità dovrebbe essere solo accompagnato in cantina, tenuto per mano, affinché possa dare alla luce tutto ciò che di bello hanno fatto clima, tempo, attesa, attenzione del vignaiolo senza spazio a stregonerie e pozioni magiche dell’enologo di turno.

Il vino di qualità è un vino complesso, fine, fiero, sincero messaggero di un territorio, di un’idea, di una fede.

E’ questo il vino che Eataly Roma dovrebbe commercializzare, non il vino sfuso, retaggio di ciò che da sempre è lontanissimo dalla qualità.

So benissimo che le strategie commerciali seguono i propri canali, ma se si lavora sull’eccellenza non si può al contempo proporre lo sfuso e se invece lo si fa, allora si deve lavorare su una piattaforma diversa.

Ops…, a volte dimentico di essere in Italia. Beh, noi qui possiamo fare tutto, anche stare con un piede in 2 staffe, o meglio, stappare 2 bottiglie allo stesso tempo con un solo cavatappi….

Alla fine è solo questione di marketing.











29 November 2012

Un vino “moderno” che non c’è più







































Qualche giorno fa, ho sacrificato sull’altare di casa mia – che non è altro che una penisoletta dove quotidianamente s’incontrano amorevolmente cibo e vino - l’ultima bottiglia di un vino che mi ha emozionato fin dai primi assaggi.


La vittima del sacrificio è stato il Valpolicella Superiore Monte Paradiso ‘97 dell’Azienda Agricola Baltieri (Mizzole -VR).

L’uvaggio è il solito, Corvina, Rondinella e Molinara in percentuali che possono variare in base all’andamento delle diverse annate.

L’unicità di questo vino è che stiamo parlando di un Valpolicella che, per quanto sia Superiore, ha 15 anni d’età e questi anni, credetemi, se li porta ottimamente, oserei dire in maniera straordinaria.

Il Valpolicella da sempre è stato considerato un vino da consumarsi nell’arco di qualche anno, certamente non destinato a lunghi invecchiamenti che invece contraddistinguono il vero re di quelle contrade, l’ Amarone.

Qui invece siamo di fronte ad un Valpolicella Superiore che è cresciuto in valore, in carattere ed in personalità di anno in anno abbattendo miti, credenze e false verità.

Al naso si presenta con una grande ricchezza e complessità di profumi che spaziano dalla marasca sotto spirito a note cioccolatose e di spezie dolci.

Ma certamente è in bocca che questo vino sorprende ancor di più.

E’ minerale, graffiante, molto sapido; una sapidità quasi sanguigna, ematica che sostiene una struttura ricca, densa, sostanziosa e succosa. Un vino ancora molto vivo dopo 15 anni con una bella freschezza a renderlo agile, vibrante, bevibile. Un vino che non stanca mai.

È uno di quei vini che potrebbe a pieno fregiarsi dell’appellativo “moderno” ove per moderno s’intende un vino poco alcolico, fresco, bevibile quotidianamente.

Ma, a mio avviso, questa definizione sarebbe troppo limitante per il nostro Valpolicella.

È un vino sicuramente attuale ma la sua modernità risiede nell’antica saggezza di chi l’ha concepito, del suo papà, del vignaiolo che con il cuore e la testa gli ha dato la vita.

Un vino quindi non solo di tradizione, ma neppure solo moderno. Direi semplicemente un grande Valpolicella Superiore come non ce ne sono e forse non ce ne saranno più.

Per me era l’ultima bottiglia di pochissime in mio possesso e questo Valpolicella – notizia ferale – purtroppo non è più in produzione da qualche anno.

L’azienda ha deciso di dedicarsi in toto all’Amarone ed al suo fratello dolce, il Recioto.

Ciò che ancora c’è di Valpolicella viene venduto come vino sfuso e questo è significativo di una tradizione radicata nel veronese che interpreta proprio il Valpolicella come vino di tutti i giorni, immediato, facile, da bersi senza farsi molti problemi di affinamento o invecchiamento.

Questa era ed in parte è ancor oggi, la consuetudine locale nell’interpretazione del vino Valpolicella.

Ecco perché imbattersi in un Valpolicella Superiore di 15 anni che ancora sgambetta come un bambino, è una esperienza da condividere perché rappresenta semplicemente un “unicum”.

Resta il rammarico per non aver più la possibilità di seguirlo negli anni, per aver perso un grande protagonista di quel territorio.

Tuttavia è viva la speranza di incontrarlo di nuovo un giorno, magari frutto di un saggio ripensamento del viticoltore desideroso di far rivivere un vino che in passato tanto ha parlato di quella feconda terra che cinge Verona.

In bocca al lupo quindi, vignaiolo Baltieri, ed un caro arrivederci al suo Valpolicella Superiore Monte Paradiso.










28 November 2012

Passeggiata in Friuli - novembre 2006

da una piccola bozza ripescata in uno dei cassetti di casa.... anzi no, nella chiavetta usb


Mi sveglio di buon’ ora. Sarà una giornata lunga, quella di oggi.


Ad accogliermi, un sole caldissimo che mi coccola dolcemente quasi volesse darmi il buongiorno; cosa assai piacevole, visti i freschi respiri di un' aria che mi ricorda di essere ormai nel mese di novembre.

Sono a Nimis, terra di Ramandolo, un vino che mi ha stregato e tenuto spesso compagnia in queste giornate. Salgo in auto, prendo la statale 356 in direzione di Cividale del Friuli. Lo scenario naturale che mi circonda è splendido. Alberi carichi di cachi, quasi antichi custodi vestiti d’arancio, lasciano presto il campo all’unico solo protagonista di queste terre, il vigneto.

La vite inizia a fare la sua comparsa con delicatezza, quasi a voler nascondere una presenza che di lì a poco diverrà totale. Poi, attraversato il paesetto di Attimis, vengo letteralmente ingoiato da filari schierati come guerrieri pronti alla battaglia. Sembrano osservarmi da ogni dove. Coprono tutto, ogni collinetta, ogni declivio, ogni spazio potenzialmente coltivabile.

E’ il vero trionfo della viticoltura friulana.

Su queste colline è lei l’indiscussa signora. Padrona incontrastata del paesaggio, splendidamente pettinata ai raggi del sole, fa bella mostra di sé, immersa in un azzurro quasi irreale, protetta alle spalle dalle Alpi Giulie, che la tutelano dalle freddi correnti del nord. In questo microclima, nasce, cresce e, grazie ad una cura quasi maniacale, che solo i vignaioli di qui sanno donarle, dà vita a prodotti di qualità assoluta.

Arrivo a Togliano e poi è la volta , finalmente, di Cividale, l’ antico Forum Iulii (da cui l’origine del nome Friuli) fondato proprio da quei legionari romani che scelsero di stabilirsi nei Colli Orientali riconvertendosi in coltivatori ed, in particolare, in vignaioli, continuando quindi una tradizione già viva ai tempi dei Celti.

Oggi, vado a far visita ad un mio amico di Prepotto, Michele, conosciuto qualche tempo fa in una degustazione di più di 300 etichette a Triste. La prima volta, i suoi vini furono per me una bellissima sorpresa. E non parlo degli internazionali, ma degli autoctoni anche se sulla parola “autoctono” sono state aperte infinite discussioni. Comunque, mi riferisco a Refosco dal Peduncolo Rosso, Schioppettino, Ribolla Gialla, Tocai Friulano, e, ad uno splendido Verduzzo Dorato.

Michele mi accoglie con un calore tipicamente friulano, quel calore che viene fuori solo alla distanza, quando il vignaiolo di queste contrade si lascia alle spalle la ritrosia tipica del “furlan” e, accompagnando le parole con un bel tajut de vin, inizia a raccontare la vita del suo figlio più caro, la vigna.

E allora, chiacchierando, decidiamo di fare visita a quel figlio. Ci arrampichiamo per la collina, la sua collina, la collina di Michele, coccolata giorno e notte, sotto il sole come sotto la pioggia, nel freddo invernale come nelle risplendenti giornate estive.

Non posso fare a meno di accarezzare le viti, scure, nervose, vissute.

Esse sono l’inizio, esse generano il tutto, tracciano una via che il bravo vignaiolo deve solo seguire, interpretandone il significato, ma non mutandolo o stravolgendolo.

Passo dopo passo, circondato dai vigneti, mi sembra quasi di coglierne i versi, le suffuse parole. Ho quasi l’impressione che si muovano, che si agitino, che mi accolgano per narrarmi la propria vita.

Rientriamo dopo un’oretta. Ci sediamo e apriamo tre bottiglie di tre annate successive di quello Schioppettino che tanto aveva colpito il mio cuore, la prima volta.

Proprio un bel vino, splendido colore, contraddistinto all’olfatto da una nota vinosa che, via via con gli anni, lascerà spazio a sentori decisamente più maturi, più definiti, più speziati. E poi, una bellissima sapidità, che solo questo terreno può regalare, terreno di marne ed arenarie, terreno fortemente minerale. E questa mineralità si ritrova sempre, immobile, presente, immutata. Uno Schioppettino da bere giovane ma che con gli anni diventa più interessante, più adulto, quasi più saggio.

Poi….l’altra mia passione, il Verduzzo Dorato. Un amore a prima vista, potrei definirlo. Un vino che pochissimi conoscono e che, ogni volta, meraviglia, lasciando dietro di sé “morti e feriti”, perché tutti si aspettano il solito vino dolce.

Ed invece, qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. Un vino ottenuto da uve Verduzzo, le stesse che danno vita al Ramandolo, un vino che non è mai dolcemente “ruffiano”, non è mai stucchevole, grazie ad una carica acida che ne sostiene sempre la struttura. Un vino che sa di miele ma che non stilla lacrime smielate, anzi, mostra una sottile nota tannica che lo rende unico, speciale, inconfondibile. Un bel bere!

Una giornata di assaggi, di infinite parole, di condivisione di emozioni e sensazioni.

Una giornata vissuta alla ricerca di un benessere non solo gustativo ma più intimo, quasi spirituale.

Dopo questa giornata con il mio amico vignaiolo friulano, riparto con la tristezza in me dominante, carico di sapori, umori, colori.

Riparto colmo di vino nella testa ma, soprattutto, nel cuore.

Questo è il mio Friuli, quel Friuli che è in grado di emozionarmi, quel Friuli che porto dentro sempre. E, detto da un romano, potete assolutamente crederci.



25 September 2011

IL LNGUAGGIO DEL VINO

Breve corso di avvicinamento al vino per comprenderne il linguaggio.



Gli incontri a cadenza settimanale dalle 18:30 alle 21:00:

...

-16 ottobre 2011

sfumature del giallo – analisi visiva dei vini bianchi, vinificazione in bianco

-23 ottobre 2011

sfumature del rosso – analisi visiva dei vini rossi, vinificazione in rosso, maturazione, affinamento, uso delle botti

-30 ottobre 2011

si fa festa – bollicine, metodo Classico e metodo Charmat, spumantizzazione

-6 novembre 2011

lacrime d’oro – i vini dolci, appassimento e vendemmia tardiva

-13 novembre 2011

petali di ginestra – analisi olfattiva dei vini bianchi

-20 novembre 2011

chiodi di garofano e cannella – analisi olfattiva dei vini rossi

-27 novembre 2011

sapido – analisi gusto-olfattiva dei vini bianchi

-4 dicembre 2011

tannico – analisi gusto-olfattiva dei vini rossi

-11 dicembre 2011

mozzarella di bufala e falanghina – elementi di abbinamento cibo-vino

-18 dicembre 2011

da Aosta a Catania passando per L’Aquila – cenni sui principali vitigni e vini d’Italia

In ogni incontro saranno presi in esame dai 2 ai 4 vini.



Ogni incontro sarà arricchito da gustose preparazioni gastronomiche sapientemente pensate e realizzate dagli Chef del BigNight Roma.



Il costo di partecipazione è di € 250,00



ISCRIZIONE ENTRO IL 13 OTTOBRE

PER ULTERIORI INFORMAZIONI ED ISCRIZIONE TEL: 06/24407240

BIG NIGHT

VIA ANTONIO TEMPESTA 14 ROMA



21 July 2011

SAUVIGNON BLANC 2010 YARDEN

Ho assaggiato, qualche giorno fa, il Sauvignon Blanc 2010 dell'Azienda israeliana Yarden.
E' stata una grande delusione. Non c'è nulla del Sauvignon né olfattivamente né gustativamente; non c'è nulla di fruttato, di verde, di erbaceo né di minerale; solo note citrine con uno sgradevole "sottofondo" di legnosa vaniglia che certamente contribuisce ad offuscare ancor più l'anima, peraltro quasi inesistente, di questo vino.
In sintesi, poco intenso, poco complesso e poco fine.
Dov'è il mio caro bosso, il vibrare della mineralità, la verticalità delle note verdi???
Non c'è proprio nulla di tutto ciò né di altro.
Un vino poco interessante. Peccato.

15 June 2011

Weekend all'Agriturismo La Longa



Abbiamo trascorso un piacevolissimo fine settimana a "La Longa", splendidio agriturismo in quel di Poirino (TO).
Padroni di casa gentilissimi e alla mano.
Stanze molto accoglienti, bagno ampio con bella doccia, travi a vista frutto di un restauro conservativo attento ed intelligente.
Cena del venerdì segnata da ciò che di meglio offre il territorio. Eccellente materia prima manipolata con sapiente semplicità. Dopo un'introduzione fatta di affettati, vitello tonnato,tomini ed un  bagnetto verde piemontese da leccarsi i baffii, siamo passati ai primi:  risotto agli asparagi ed agnolotti. Splendidi!!
Per secondo invece ci siamo sacrificati ad assaggiare un gustoso arrosto alle nocciole.
Che vitaccia!!! Il vino era un Dolcetto, dai bei profumi e di buona persistenza,di un piccolo produttore locale.
Se passate dalle parti di Torino, vi consiglio una sosta ristoratrice a La Longa. Ne vale la pena.





















CAVE CANEM !!! I guardiani de La Longa !!!

http://www.agriturismolalonga.it/

07 April 2011

Al via Vinitaly 2011, un’occasione per capire

Articolo da l'Acquabuona
http://www.acquabuona.it/

Al via Vinitaly 2011, un’occasione per capire


In vista di un nuovo Vinitaly, la più grande fiera al mondo dedicata al vino, quali sono le cose che ci piacerebbe capire, o imparare? Non sul vino in sé, o non tanto. Anche se in effetti a Verona si potrà degustare di tutto, per quello ci sono tante occasioni, dalla serata intima e riflessiva del ristorante alla grande kermesse, alla visita in cantina. No, ci piacerebbe sapere quali sono i problemi più grossi del vino come fonte di sostentamento per chi lo produce, come fonte di reddito, come attività economica per un imprenditore, ancorché vignaiolo, come risorsa per il Paese.


Come si sa, sono due i corni del dilemma. L’export italiano cresce, e per questo molti Consorzi inviano comunicati densi di soddisfazione. Il vino traina la ripresa del settore enogastronomico, che a sua volta in Italia compete con il manifatturiero per il primato nell’aggresione dei mercati esteri. Gli USA tirano moltissimo, i paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), sono con diversa velocità ed intensità in fase di conquista.


Ma prosegue anche il calo dei consumi interni: dai 100 litri pro capite degli anni Settanta ai 45 litri del 2007 fino ai circa 40 litri a testa di oggi; un trend destinato, secondo le previsioni, a diminuire ulteriormente entro il 2015. Predilezione per la qualità, bere meno per bere meglio? Ma allora perché tante bottiglie, anche delle più illustri Docg, subiscono l’umilazione di essere vendute a meno di tre euro? Il Consorzio del Chianti Classico, per dirne uno rappresentativo, comunica il “+34% rilevato nel mese di marzo rispetto al marzo precedente, ed in generale un primo trimestre 2011 che registra un incremento medio delle vendite del 18,5% rispetto allo stesso periodo del 2010.” Ma lascia il dubbio: in quantità o in valore? Carpené, storica azienda del Prosecco, celebra una chiusura d’esercizio con +7.9% nel 2010. Per non parlare del trend positivo dell’Amarone. Insomma, quale è la verità?


In definitiva sarà bene, nonostante critiche e perplessità (quale è il vero target di una fiera che inizia il giovedì e finisce il lunedì, l’operatore o il consumatore finale?), fare un giro anche quest’anno fra i padiglioni della fiera di Verona per vedere se è possibile capire, al di là di ipocrisie, pessimismi o ottimismi di maniera, come stanno andando veramente le cose.

di Riccardo Farchioni • 6 apr 2011

Vinitaly, Fiera di Verona

7-11 Aprile, Ore 9.30-18.30 (9.30-16.30 il lunedì)



05 April 2011

SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO: IL NUOVO CRU DEI COLLI ORIENTALI DEL FRIULI

A distanza di un paio di anni dall'evento "Schioppettino VIP" del luglio 2009, pubblico un mio articolo lasciato nel limbo per qualche tempo. Credo possa essere interessante e spunto di riflessioni ancor oggi.


















Il 3 ed il 4 luglio scorsi, il piccolo - grande comune di Prepotto (UD) ha ospitato per la prima volta una festa tutta dedicata a celebrare l’antico vitigno Schioppettino, che ha ottenuto, nel mese di giugno del 2008, il riconoscimento ufficiale di terza sottozona della Doc Colli Orientali del Friuli, appunto “Schioppettino di Prepotto”, che si differenzia in senso assoluto dalle altre due preesistenti nell’ambito della stessa Doc - Cialla e Rosazzo - essendo di fatto l’unica ad essere stata riservata ad un solo vitigno.

L’evento “Schioppettino V.I.P.!”, nato dalla lungimiranza e ferma volontà dell’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto, ha visto la partecipazione di viticoltori, enologi, agronomi e giornalisti della stampa specializzata nazionale ed estera.
La manifestazione ha aperto i battenti con una conferenza stampa nel pomeriggio di venerdì 3 luglio, alla quale hanno fatto seguito due degustazioni riservate alla stampa specializzata e agli “addetti ai lavori”, un’orizzontale di 6 etichette dedicata all’annata 2006 ed una verticale che ha dato la possibilità di assaggiare etichette dal 1994 al 2003.

Gli obiettivi delle due degustazioni sono stati molteplici: innanzitutto mettere in risalto le diverse interpretazioni dello Schioppettino in base al territorio di provenienza, sottolineando le peculiarità e le tipicità di ogni singolo terroir; sottolineare le diverse tecniche e metodologie di maturazione ed affinamento, processi che per questo vino assumono un’importanza determinante vista l’anima delicata dello Schioppettino ed il rischio quindi alto di un’invasività eccessiva del legno; infine, ripercorrere un cammino che i produttori, anno dopo anno, hanno saputo condurre con pazienza ed intelligenza, tentando di approfondire le conoscenze specifiche sul vitigno al fine di esaltarne gli aspetti di unicità varietale.
Qui di seguito il resoconto delle due degustazioni.

Orizzontale annata 2006:

Schioppettino 2006 - La Buse dal Lof
Terreno composto da marne ed arenarie.
Interessante al naso con profumi di frutti di bosco ( mora e lampone), note floreali di violetta e di spezie riconducibili al pepe verde, cannella, liquirizia, noce moscata. Importante presenza minerale. Vino sapido e dal tannino morbido e carezzevole. Lunga persistenza gusto-olfattiva.
90/100

Schioppettino 2006 – Grillo Iole
Terreno limoso su strato di ghiaia.
Vino dal buon carattere ma forse un po’ carente in personalità.
Buona persistenza nell’assaggio. Percettibile la nota alcolica.
84/100.

Schioppettino 2006 – Antico Broilo
Terreno alluvionale, di composizione sottile su lastroni di marne ed arenarie.
Al naso ribes e lampone con una traccia di balsamicità. Buona persistenza gusto-olfattiva. Si percepisce ancora una lieve nota di legno.
86/100

Schioppettino 2006 – Vigna Petrussa
Terreno limoso-argilloso.
Naso dominato da piccoli frutti rossi e spezie. Tannini ben presenti forse ancora un po’ scomposti. Buona linea fresco-sapida.
85/100

Schioppettino 2006 – Vigna Lenuzza
Terreni sottili nella Valle dello Judrio e sottovalle di Centa con sottofondo di ghiaia.
Vino caldo dalla importante alcolicità. Buona persistenza gusto-olfattiva.
84/100

Schioppettino 2006 – Vigna Traverso
Terreno composto da marne ed arenarie esposto a nord-est.
Naso caratteristico. Buona freschezza. Non molto lunga la PAI.
84/100

Verticale annate 2003-1994:

Schioppettino 2003 – La Viarte
Un vino non particolarmente interessante né all’olfattiva né alla gustativa. Discreta persistenza gusto-olfattiva.
83/100.

Schioppettino 2001 – Petrussa
Vino interessante. Profumi intensi, vino di corpo, lungo in bocca.
88/100

Schioppettino 1999 – La Viarte
All’olfattiva profumi intensi ed interessanti. In bocca un po’ sottotono con una PAI non troppo lunga. 86/100

Schioppettino 1999 – Petrussa
Si distingue per un tannino molto vivace quasi aggressivo. Note di surmaturazione.
83/100

Schioppettino 1998 – Petrussa
Buon naso. Tannini anche in questo caso alquanto aggressivi.
83/100

Schioppettino 1997 – La Viarte
Al naso non molto interessante. Vino poco elegante che risente nettamente del passare del tempo pagando lo scotto di metodologie di vinificazione in quegli anni ancora da perfezionare.
80/100

Schioppettino 1994 – La Viarte
Vino che paga un pesante dazio al tempo. L’acidità ed il tannino percorrono strade parallele senza incontrarsi in modo armonico. Non c’è più corpo.
77/100

Solo un chiarimento relativo alle degustazioni.
La via tracciata dai produttori associati dello Schioppettino di Prepotto è stata lunga e difficoltosa e lo è ancora oggi nella convinzione di poter ottenere un vino sempre più interessante.
Evidentemente le annate antecedenti il ’99 denunciano imperfezioni ovvie per un percorso che era ancora ai suoi albori in termini di metodologie di allevamento e coltivazione in vigneto, vinificazione, maturazione ed affinamento. Dall’annata ’99, come si evince dalla verticale, c’è un netto stacco con il passato. Con le ultime annate poi, e ne è un chiaro esempio la 2006 oggetto della orizzontale, lo Schioppettino assume una veste totalmente diversa, matura e piena che ne esalta il carattere, l’eleganza e la personalità sottolineandone la sua unicità assoluta.

Il giorno successivo, sabato 4 luglio, centinaia di persone provenienti da tutta la regione e non solo, hanno avuto l’opportunità di prendere parte alla degustazione a banchi d’assaggio di tutte le etichette di Schioppettino dando vita ad una splendida festa che si è snodata tra le vie del borgo di Prepotto e che ha visto la partecipazione dei produttori, di artigiani dell’ alta gastronomia friulana, di scultori e pittori.


Ma cosa dire del nostro vero protagonista, lo Schioppettino di Prepotto?

Il mio primo incontro con lo Schioppettino di Prepotto è avvenuto a Trieste in un pomeriggio di qualche anno fa. Da quel momento si è magicamente creato un legame indissolubile che mi ha spinto a scoprire la storia di questo vitigno, i suoi diversi percorsi, le future prospettive.
Da subito mi resi conto di trovarmi davanti ad un vino di assoluto interesse, diverso, dall’anima elegante, dai profumi intensamente speziati; un vino fortemente espressivo del territorio d’origine, di grande piacevolezza e che racchiudeva in toto le caratteristiche di un vino moderno.
Il tempo non ha fatto altro che confermare quelle che allora erano state mie impressioni riconoscendo allo Schioppettino un successo che non è solo di un vitigno e di un vino, ma di un territorio naturalmente vocato e di vignaioli che proprio quel territorio hanno saputo interpretare con capacità, volontà, consapevolezza.

Nel territorio di Prepotto, lo Schioppettino, chiamato anche “Ribolla nera” o “Pokalça”, un tempo coltivato nella provincia di Udine sotto il nome di Scopp (Pietro di Maniaco, 1823), ha da sempre accompagnato, sopravvivendo ad esse, le travagliate vicende storiche ed umane che hanno interessato questa terra di confine e di commistione fra tradizioni socio-culturali italiche, austriache e slave.

Nel 1907, il Consorzio antifilosserico friulano ne consigliava l’utilizzo per i reimpianti, confermandone così l’adattamento all’ambiente e, implicitamente, anche il pregio enologico.

Nel 1921 l’Associazione Agraria Friulana pubblicò nel suo bollettino un elenco alfabetico delle varietà di vite coltivate in Friuli nel secolo precedente, fra cui citava la Ribolla nera, con un’annotazione del dottor A. Levi che la dichiarava originaria di Prepotto e la definiva “uva delicata”.

Nel 1939, il Poggi, nel suo fondamentale lavoro dedicato alla viticoltura friulana, affermò testualmente: “... vitigno che è coltivato quasi esclusivamente nel territorio collinare e pedecollinare del comune di Prepotto e specialmente nella sua frazione di Albana. La Ribolla nera, al di fuori del suo ambiente optimum, anche alla distanza di pochi chilometri, dà un vino che non possiede più quelle caratteristiche peculiari che lo rendono pregiato in quel di Prepotto col nome locale di Schioppettino ...”.

Del resto, nella sua “Guida delle Prealpi Giulie” del 1912, Olinto Marinelli, riferendosi al distretto di Cividale, già accennava alla Pokalça come vitigno fra i più coltivati e citava un documento risalente al 1282, riguardante le nozze Rieppi-Caucig, dal quale si ricava che la conca di Albana-Prepotto era in gran parte vitata.

Purtroppo però, il vitigno Schioppettino perse gradatamente d’importanza nel periodo post-fillosserico – destino peraltro comune a numerosissimi vitigni della nostra penisola – a favore di altri più produttivi e quindi remunerativi – soprattutto Tocai e Merlot – rischiando di scomparire definitivamente.
Nel '75 ricercando vinacce degli antichi vitigni autoctoni friulani, i Nonino scoprirono che i più rappresentativi – Ribolla, Schioppettino, Tazzelenghe e Pignolo – erano ormai prossimi all’estinzione essendone vietata la coltivazione e il 29 novembre, con lo scopo di farli ufficialmente riconoscere dagli organi nazionali e comunitari, diedero vita al Premio Nonino Risit d'Aur da assegnare annualmente al vignaiolo che avesse posto a dimora il miglior impianto di uno o più di questi vitigni anche se di proporzioni limitate.
Nel 1977 il Consiglio comunale di Prepotto si riunì in seduta straordinaria, con all’ordine del giorno la difesa dello Schioppettino, giunto ad un passo dalla scomparsa definitiva, deliberando all’unanimità la richiesta che fosse inserito almeno nell’elenco dei vitigni autorizzati, cosa che avvenne nel 1981.

Nel ’79 Maria Rieppi di Albana si meritò il Risit d’Aur proprio per i suoi impianti di Schioppettino.
Con il regolamento CEE 3582/83 lo Schioppettino fu finalmente incluso fra i vitigni raccomandati per la provincia di Udine e nel 1987 ottenne la denominazione di origine.

Nel giugno del 2008 la conclusione di un lungo cammino intrapreso nel 2002 dall’Associazione Produttori dello Schioppettino di Prepotto, il riconoscimento della sottozona Colli Orientali del Friuli “Schioppettino di Prepotto”, a sottolineare la forte impronta che un territorio, quello di Prepotto, sa regalare al suo vitigno d’elezione arricchendone la personalità e differenziandone in modo assoluto il carattere tanto da renderlo unico all’interno dell’intero vigneto Friuli.

L’origine del nome Schioppettino è incerta.
Probabilmente il nome onomatopeico, deriva dal fatto che lo Schioppettino, caratterizzato da elevata acidità fissa, dopo essere stato imbottigliato da giovane e aver quindi completato la fermentazione malolattica in bottiglia, diventava leggermente frizzante, dando l’impressione, sia all’udito che in bocca, di scoppiettare a causa dell’anidride carbonica sviluppata.
Si suppone inoltre che lo “schioppettare ” fosse prodotto, durante la masticazione, dall’uva matura caratterizzata da una buccia tesa e spessa.
Il vitigno ha trovato da sempre il suo habitat ideale nella valle del fiume Judrio affluente dell’Isonzo e teatro della prima azione bellica italiana nel corso della prima guerra mondiale.



L'episodio si verificò sul ponte di Brazzano in località Quattroventi nei pressi di Cormons. La notte fra il 23 e 24 maggio 1915, due finanzieri, Pietro Dell'Acqua e Costantino Carta, erano stati incaricati di sorvegliare il luogo. Alle ore 22.40 circa si accorsero che alcune ombre minacciose si avvicinavano alla sponda sinistra del ponte trasportando ingenti carichi. Ai finanzieri fu subito chiaro che i guastatori austriaci erano intenzionati a distruggere il ponte e quindi decisero di aprire il fuoco. La mattina dopo, sul ponte furono trovati attrezzi da mina e carichi di dinamite. L'anno successivo i due finanzieri ricevettero la medaglia di bronzo al valore militare ciascuno con la seguente motivazione: “unitamente ad un compagno impediva con prontezza ed energia la distruzione di un ponte militare importante”.



Ma la Valle dello Judrio è anche luogo magico, dimora misteriosa di tradizioni e leggende frutto di un patrimonio a cavallo fra il sacro ed il profano che i ceti contadini si tramandavano di padre in figlio. L’origine era spesso da individuare in reali paure generate in un sottobosco di ignoranza, povertà e credenze alle quali non era estranea la componente religiosa. Fobie che poi prendevano vita materializzandosi in qualcosa che la coscienza comune avrebbe voluto cancellare inconsapevolmente creando spesso il mostro da perseguitare come nel caso delle Storke, esseri femminili che frequentavano le numerose grotte situate lungo le sponde dello Judrio e del Natisone, la cui caratteristica era di avere i piedi rivolti all’indietro, una deformazione fisica che sicuramente avrebbe acceso la fantasia degli abitanti di quelle vallate.
In questo contesto, i fenomeni carsici hanno avuto un’importanza fondamentale ed hanno contribuito notevolmente ad alimentare credenze e leggende. Proprio le grotte, presenti in gran numero lungo il corso dello Judrio, sembra siano state la collocazione ideale di numerosi racconti animati da esseri demoniaci di diversa natura. Al di là di una facile interpretazione legata alla grotta come porta di accesso al mondo degli inferi, al regno dei morti, sembra che una spiegazione possa ricercarsi nelle vicende storiche di queste terre. In particolare, numerose sono le leggende in cui si narra di un tesoro nascosto in una grotta e custodito da un essere demoniaco. La cosa potrebbe facilmente ricondursi all’arrivo nell’alto Adriatico di tutte quelle genti, specialmente Greci ed Ebrei, in fuga dalle invasioni dei Turchi. Essi portavano con sé tesori e beni preziosi che con ogni probabilità, in un territorio carsico come quello del corso dello Judrio,
nascondevano facilmente in qualche pozzo o grotta; da qui è facile ipotizzare la creazione ad arte di un mostro che sorvegliasse l’antro stesso. Così il fenomeno carsico, col tempo, si è ammantato di leggenda.
Per non parlare poi degli skrati, esseri demoniaci che dispettosi mescolavano l’acqua alle donne intente a lavare rendendola torbida o dei folletti che disturbavano i carbonai nei boschi del Cum distruggendo e bruciando le cataste di legname per terminare infine con la figura dell’Orco raramente indicato come un essere cattivo o malvagio ma piuttosto come uno spirito che amava ingannare il viandante.
La valle dello Judrio è stata quindi anche luogo di tradizioni, paure, credenze fantastiche coperte dal velo della leggenda, tramandate oralmente ai posteri e radicatesi col tempo nell’immaginario delle popolazioni di queste contrade.

Ma, tornando più specificamente al mio amato Schioppettino, la valle dello Judrio presenta caratteristiche pedo-climatiche molto particolari che rendono questo territorio unico. Il vento secco e fresco che attraversa sistematicamente la vallata di Prepotto e Albana, contrasta in modo efficace il sorgere di malattie fungine e, nella fase di maturazione delle uve, crea escursioni termiche determinanti per il corredo aromatico dello Schioppettino.
La variabilità dei terreni è notevole: gli strati alluvionali dello Judrio, che scorre in una vallata chiusa dove si alternano marne, arenarie, rocce calcaree, si sovrappongono alle argille che piccoli corsi d’acqua hanno portato a valle dalle alture circostanti.

Tipica è la zona di Centa, con terreni caratterizzati da argille che hanno avuto origine da alcuni affioramenti di marne caratteristiche per il loro colore rossastro.
E’ fin troppo chiaro come la conoscenza delle interazioni fra il clima, i terreni e lo Schioppettino sia basilare per dare vita a vini che possano esprimere le peculiarità di questo mirabile territorio, che siano in grado di dar voce al terroir.


L’attività condotta dai produttori associati dello Schioppettino di Prepotto si è focalizzata sull’analisi dello stato vegetativo dei vigneti in relazione alla forma di allevamento, alla qualità del legno prodotto, agli interventi di potatura verde.


Maturata la dicisione, nel 2004, di sostituire la tradizionale forma di allevamento “capovolto” con il “Guyot” mono o bilaterale, forma questa più indicata per gli obiettivi qualitativi prefissati, i viticoltori hanno poi tentato di modificare la struttura dei vigneti al fine di privilegiare la parete fogliare per poter avere almeno 100/120 centimetri di foglia sopra i grappoli.



Dalle comparazioni successive effettuate in campo, è risultato evidente che la forma di allevamento a “Guyot” permetteva di ottenere con facilità la parete fogliare consigliata e, soprattutto, che i tralci
lignificavano con regolarità favorendo una buona maturazione dei grappoli.
Inoltre, la separazione della fascia produttiva da quella vegetativa permetteva di ridurre di molto i tempi impiegati in alcune fasi della potatura verde.







Nel 2003, un’indagine condotta capillarmente in tutti i vigneti di Prepotto alla ricerca di ceppi di Schioppettino con un’età di almeno 80 anni, ha permesso di individuare materiale genetico poi riprodotto e messo a dimora in un vigneto-catalogo che consentirà col tempo di valutare le diverse potenzialità produttive.
Il materiale raccolto è stato innestato su 101-14 (ibrido Riparia x Rupestris), portainnesto di medio-bassa vigoria che si adatta bene ai terreni fertili e freschi e, con un ciclo vegetativo più breve degli altri, è adatto anche alle zone fredde.
Le forme di allevamento realizzate sono: il “Guyot” monolaterale a 5/6 gemme, diffuso in gran parte dello Shioppettino in produzione; il “cordone speronato”, interessante per le indicazioni che fornisce riguardo la riduzione delle dimensioni dei grappoli; l’“alberello”, forma di allevamento di grande interesse per l’equilibrio produttivo e qualitativo con riduzione degli interventi di potatura verde.


Per quanto riguarda in particolare il disciplinare di produzione della sottozona, complesso è stato il confronto per individuare lo Schioppettino “tipo” di Prepotto.
Lo Schioppettino ha un’anima elegante e gentile, ricca di sfumature e riflessi unici. Note di piccoli frutti di bosco – in particolare mora, ribes nero e lampone – accompagnano ricordi floreali di violetta aprendo poi il campo a spezie che proprio nello Schioppettino di Prepotto hanno un vero e proprio “unicum”.
E allora la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata e, soprattutto, il pepe verde diventano protagonisti assoluti prima al naso e poi nell’assaggio in una danza che, nelle migliori versioni, diviene armonia ed equilibrio.

Un vino di bella freschezza, dalla sapidità sempre presente risultato di un territorio ricco di minerali – in particolare carbonato di calcio – che una volta assorbiti dall’apparato radicale, influenzano la stessa costituzione minerale ed organica delle bacche.
Tenendo in considerazione tutte queste peculiarità, i produttori hanno deciso di optare per la maturazione obbligatoria di un anno in legno, preferendo la barrique come contenitore ideale per rispettare gli aromi primari del vitigno che lo contraddistinguono in modo assoluto dal vasto panorama degli altri vini rossi.
Lo Schioppettino ha una natura leggiadra ed elegante, con tannini presenti ma vellutati e gentili, mai aggressivi. Per questo motivo sono stati scelti materiali con grado di tostatura basso, prediligendo l’utilizzo di legni di secondo passaggio.



Per quanto riguarda l’uso dell’appassimento, questa prassi tende a snaturare il vitigno privandolo dei suoi tipici profumi varietali, banalizzando il prodotto e pregiudicando quella freschezza nella beva tipica dello Schioppettino. Si potrebbe eventualmente pensare a riservare solo una piccola percentuale all’appassimento per regalare al vino maggiore concentrazione senza tuttavia mutarne le caratteristiche varietali.
Quell’ “uva delicata” oggi inizia quindi i primi passi di un nuovo capitolo della sua vita che la porterà a creare un rapporto sempre più stretto col territorio natio e d’elezione, il territorio di Prepotto, poiché solo quel territorio ha saputo darle nuova vita ed esaltarne il carattere donandole una bellezza unica.
E forse proprio quell’essere uva delicata, che non vuol dire altro che bevibilità, grande bevibilità, sarà l’arma vincente dello Schioppettino di Prepotto nel prossimo futuro. Non infatti un vino più da masticare che da bere, non un vino grasso e pesante, non un vino stancante, ma un vino dall’anima leggera e al contempo forte e persistente, da degustare giornalmente per accompagnare i pasti, dalla viva freschezza e dal contenuto alcolico ben contenuto. Se queste saranno le caratteristiche del vino del futuro, quelle che tra l’altro già il mercato sta manifestando da tempo, lo Schioppettino parte in pole position per assicurarsi un posto di assoluto rilievo. In bocca al lupo, Schioppettino di Prepotto !!!






DISCIPLINARE SOTTOZONA “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO”

Art. 1.
La denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli” accompagnata dalla specificazione “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” è riservata al vino ottenuto dalle uve di cui al seguente art. 2 prodotte dai vigneti della zona specificata nel successivo art. 3 e rispondenti alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente allegato al disciplinare di produzione dei vini DOC “Colli Orientali del Friuli”.

Art. 2
La denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli” con la qualificazione “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” è riservata ai vini ottenuti da uve del vitigno schioppettino prodotto nella zona indicata all'art. 3 del presente allegato. Possono concorrere alla produzione del vino Schioppettino anche le uve a bacca di colore analogo, facenti parte di quelli raccomandati ed autorizzati nella Provincia di Udine, e presenti nei vigneti in misura non superiore al 15% del totale. Per i tutti i nuovi impiantati realizzati successivamente alla pubblicazione del presente allegato tale limite è ridotto al 5%.

Art. 3.
Le uve destinate alla produzione del vino a denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” devono essere prodotte nella zona appresso indicata: esclusivamente nel Comune di Prepotto secondo le delimitazioni già stabilite dal disciplinare di produzione del D.O.C. Colli Orientali del Friuli art. 3, e con l’esclusione dei territori già ricompresi nella sottozona “CIALLA”, nonché dei terreni eccessivamente umidi o insufficientemente soleggiati.


Art. 4.
1. La produzione massima di uva ammessa per ottenere il vino: “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” è di 7 tonnellate per ettaro.
2. Tali rese devono comunque determinare un quantitativo di vino per ettaro atto per l’immissione al consumo non superiore a ettolitri 49.
3. Nei nuovi impianti e reimpianti le viti non potranno produrre mediamente più di Kg 1.55 di uva per ceppo per la tipologia “Schioppettino”. La densità dei ceppi per ettaro non potrà essere inferiore a 4.500 in coltura specializzata.
4. I sesti d'impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati e, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. E' vietata ogni pratica di forzatura, tuttavia è ammessa l'irrigazione di soccorso in casi eccezionali.
Art. 5.
1. Le operazioni di vinificazione delle uve per la produzione del vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” devono essere effettuate nell'interno della zona di produzione di cui all'art. 3. In deroga, tali operazioni possono essere effettuate nei comuni limitrofi e che siano pertinenti a conduttori di vigneti ammessi alla produzione di “Schioppettino di Prepotto”.
2. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare ai vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 12 per lo “Schioppettino”.
3. Per l' affinamento del vino del presente allegato è obbligatorio l'uso di botti di legno, per almeno 12 mesi.
4. La raccolta dell’uva deve essere eseguita manualmente.
Art. 6.
I vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto”, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche: “Schioppettino”
• colore: rosso rubino intenso con eventuali sfumature violacee;
• odore: tipico ed elegante, con sentore di spezie e piccoli frutti;
• sapore: vellutato, di corpo, secco, con sentore di pepe verde;
• titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12.5;
• acidità totale minima: 4,5 per mille;
• estratto secco netto minimo: 24 per mille.
Art. 7.
1. L’indicazione della sottozona “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” in etichetta deve essere effettuata in posizione immediatamente sottostante all’indicazione della DOC e in caratteri non superiori, in dimensioni e ampiezza, a quelli utilizzati per indicare la denominazione stessa.
2. Il vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” dovrà essere posto in commercio non prima del mese di settembre del secondo anno successivo alla vendemmia.
3. Per il vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” non è consentita la specificazione “superiore”
4. La specificazione RISERVA può essere utilizzata qualora il vino venga posto in commercio non prima del mese di settembre del quarto anno successivo alla vendemmia.
5. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati e l’indicazione di fattorie, vigne, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.
6. I vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” dovranno essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie di vetro, di tipo bordolese colore scuro, di capacità non superiore a litri 5 e chiuse con tappo di sughero.

Si ringraziano per i rilevanti contributi forniti l'Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto, il Dr. Carlo Petrussi ed il Dr.Claudio Fabbro.