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25 September 2011

IL LNGUAGGIO DEL VINO

Breve corso di avvicinamento al vino per comprenderne il linguaggio.



Gli incontri a cadenza settimanale dalle 18:30 alle 21:00:

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-16 ottobre 2011

sfumature del giallo – analisi visiva dei vini bianchi, vinificazione in bianco

-23 ottobre 2011

sfumature del rosso – analisi visiva dei vini rossi, vinificazione in rosso, maturazione, affinamento, uso delle botti

-30 ottobre 2011

si fa festa – bollicine, metodo Classico e metodo Charmat, spumantizzazione

-6 novembre 2011

lacrime d’oro – i vini dolci, appassimento e vendemmia tardiva

-13 novembre 2011

petali di ginestra – analisi olfattiva dei vini bianchi

-20 novembre 2011

chiodi di garofano e cannella – analisi olfattiva dei vini rossi

-27 novembre 2011

sapido – analisi gusto-olfattiva dei vini bianchi

-4 dicembre 2011

tannico – analisi gusto-olfattiva dei vini rossi

-11 dicembre 2011

mozzarella di bufala e falanghina – elementi di abbinamento cibo-vino

-18 dicembre 2011

da Aosta a Catania passando per L’Aquila – cenni sui principali vitigni e vini d’Italia

In ogni incontro saranno presi in esame dai 2 ai 4 vini.



Ogni incontro sarà arricchito da gustose preparazioni gastronomiche sapientemente pensate e realizzate dagli Chef del BigNight Roma.



Il costo di partecipazione è di € 250,00



ISCRIZIONE ENTRO IL 13 OTTOBRE

PER ULTERIORI INFORMAZIONI ED ISCRIZIONE TEL: 06/24407240

BIG NIGHT

VIA ANTONIO TEMPESTA 14 ROMA



21 July 2011

SAUVIGNON BLANC 2010 YARDEN

Ho assaggiato, qualche giorno fa, il Sauvignon Blanc 2010 dell'Azienda israeliana Yarden.
E' stata una grande delusione. Non c'è nulla del Sauvignon né olfattivamente né gustativamente; non c'è nulla di fruttato, di verde, di erbaceo né di minerale; solo note citrine con uno sgradevole "sottofondo" di legnosa vaniglia che certamente contribuisce ad offuscare ancor più l'anima, peraltro quasi inesistente, di questo vino.
In sintesi, poco intenso, poco complesso e poco fine.
Dov'è il mio caro bosso, il vibrare della mineralità, la verticalità delle note verdi???
Non c'è proprio nulla di tutto ciò né di altro.
Un vino poco interessante. Peccato.

15 June 2011

Weekend all'Agriturismo La Longa



Abbiamo trascorso un piacevolissimo fine settimana a "La Longa", splendidio agriturismo in quel di Poirino (TO).
Padroni di casa gentilissimi e alla mano.
Stanze molto accoglienti, bagno ampio con bella doccia, travi a vista frutto di un restauro conservativo attento ed intelligente.
Cena del venerdì segnata da ciò che di meglio offre il territorio. Eccellente materia prima manipolata con sapiente semplicità. Dopo un'introduzione fatta di affettati, vitello tonnato,tomini ed un  bagnetto verde piemontese da leccarsi i baffii, siamo passati ai primi:  risotto agli asparagi ed agnolotti. Splendidi!!
Per secondo invece ci siamo sacrificati ad assaggiare un gustoso arrosto alle nocciole.
Che vitaccia!!! Il vino era un Dolcetto, dai bei profumi e di buona persistenza,di un piccolo produttore locale.
Se passate dalle parti di Torino, vi consiglio una sosta ristoratrice a La Longa. Ne vale la pena.





















CAVE CANEM !!! I guardiani de La Longa !!!

http://www.agriturismolalonga.it/

07 April 2011

Al via Vinitaly 2011, un’occasione per capire

Articolo da l'Acquabuona
http://www.acquabuona.it/

Al via Vinitaly 2011, un’occasione per capire


In vista di un nuovo Vinitaly, la più grande fiera al mondo dedicata al vino, quali sono le cose che ci piacerebbe capire, o imparare? Non sul vino in sé, o non tanto. Anche se in effetti a Verona si potrà degustare di tutto, per quello ci sono tante occasioni, dalla serata intima e riflessiva del ristorante alla grande kermesse, alla visita in cantina. No, ci piacerebbe sapere quali sono i problemi più grossi del vino come fonte di sostentamento per chi lo produce, come fonte di reddito, come attività economica per un imprenditore, ancorché vignaiolo, come risorsa per il Paese.


Come si sa, sono due i corni del dilemma. L’export italiano cresce, e per questo molti Consorzi inviano comunicati densi di soddisfazione. Il vino traina la ripresa del settore enogastronomico, che a sua volta in Italia compete con il manifatturiero per il primato nell’aggresione dei mercati esteri. Gli USA tirano moltissimo, i paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), sono con diversa velocità ed intensità in fase di conquista.


Ma prosegue anche il calo dei consumi interni: dai 100 litri pro capite degli anni Settanta ai 45 litri del 2007 fino ai circa 40 litri a testa di oggi; un trend destinato, secondo le previsioni, a diminuire ulteriormente entro il 2015. Predilezione per la qualità, bere meno per bere meglio? Ma allora perché tante bottiglie, anche delle più illustri Docg, subiscono l’umilazione di essere vendute a meno di tre euro? Il Consorzio del Chianti Classico, per dirne uno rappresentativo, comunica il “+34% rilevato nel mese di marzo rispetto al marzo precedente, ed in generale un primo trimestre 2011 che registra un incremento medio delle vendite del 18,5% rispetto allo stesso periodo del 2010.” Ma lascia il dubbio: in quantità o in valore? Carpené, storica azienda del Prosecco, celebra una chiusura d’esercizio con +7.9% nel 2010. Per non parlare del trend positivo dell’Amarone. Insomma, quale è la verità?


In definitiva sarà bene, nonostante critiche e perplessità (quale è il vero target di una fiera che inizia il giovedì e finisce il lunedì, l’operatore o il consumatore finale?), fare un giro anche quest’anno fra i padiglioni della fiera di Verona per vedere se è possibile capire, al di là di ipocrisie, pessimismi o ottimismi di maniera, come stanno andando veramente le cose.

di Riccardo Farchioni • 6 apr 2011

Vinitaly, Fiera di Verona

7-11 Aprile, Ore 9.30-18.30 (9.30-16.30 il lunedì)



05 April 2011

SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO: IL NUOVO CRU DEI COLLI ORIENTALI DEL FRIULI

A distanza di un paio di anni dall'evento "Schioppettino VIP" del luglio 2009, pubblico un mio articolo lasciato nel limbo per qualche tempo. Credo possa essere interessante e spunto di riflessioni ancor oggi.


















Il 3 ed il 4 luglio scorsi, il piccolo - grande comune di Prepotto (UD) ha ospitato per la prima volta una festa tutta dedicata a celebrare l’antico vitigno Schioppettino, che ha ottenuto, nel mese di giugno del 2008, il riconoscimento ufficiale di terza sottozona della Doc Colli Orientali del Friuli, appunto “Schioppettino di Prepotto”, che si differenzia in senso assoluto dalle altre due preesistenti nell’ambito della stessa Doc - Cialla e Rosazzo - essendo di fatto l’unica ad essere stata riservata ad un solo vitigno.

L’evento “Schioppettino V.I.P.!”, nato dalla lungimiranza e ferma volontà dell’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto, ha visto la partecipazione di viticoltori, enologi, agronomi e giornalisti della stampa specializzata nazionale ed estera.
La manifestazione ha aperto i battenti con una conferenza stampa nel pomeriggio di venerdì 3 luglio, alla quale hanno fatto seguito due degustazioni riservate alla stampa specializzata e agli “addetti ai lavori”, un’orizzontale di 6 etichette dedicata all’annata 2006 ed una verticale che ha dato la possibilità di assaggiare etichette dal 1994 al 2003.

Gli obiettivi delle due degustazioni sono stati molteplici: innanzitutto mettere in risalto le diverse interpretazioni dello Schioppettino in base al territorio di provenienza, sottolineando le peculiarità e le tipicità di ogni singolo terroir; sottolineare le diverse tecniche e metodologie di maturazione ed affinamento, processi che per questo vino assumono un’importanza determinante vista l’anima delicata dello Schioppettino ed il rischio quindi alto di un’invasività eccessiva del legno; infine, ripercorrere un cammino che i produttori, anno dopo anno, hanno saputo condurre con pazienza ed intelligenza, tentando di approfondire le conoscenze specifiche sul vitigno al fine di esaltarne gli aspetti di unicità varietale.
Qui di seguito il resoconto delle due degustazioni.

Orizzontale annata 2006:

Schioppettino 2006 - La Buse dal Lof
Terreno composto da marne ed arenarie.
Interessante al naso con profumi di frutti di bosco ( mora e lampone), note floreali di violetta e di spezie riconducibili al pepe verde, cannella, liquirizia, noce moscata. Importante presenza minerale. Vino sapido e dal tannino morbido e carezzevole. Lunga persistenza gusto-olfattiva.
90/100

Schioppettino 2006 – Grillo Iole
Terreno limoso su strato di ghiaia.
Vino dal buon carattere ma forse un po’ carente in personalità.
Buona persistenza nell’assaggio. Percettibile la nota alcolica.
84/100.

Schioppettino 2006 – Antico Broilo
Terreno alluvionale, di composizione sottile su lastroni di marne ed arenarie.
Al naso ribes e lampone con una traccia di balsamicità. Buona persistenza gusto-olfattiva. Si percepisce ancora una lieve nota di legno.
86/100

Schioppettino 2006 – Vigna Petrussa
Terreno limoso-argilloso.
Naso dominato da piccoli frutti rossi e spezie. Tannini ben presenti forse ancora un po’ scomposti. Buona linea fresco-sapida.
85/100

Schioppettino 2006 – Vigna Lenuzza
Terreni sottili nella Valle dello Judrio e sottovalle di Centa con sottofondo di ghiaia.
Vino caldo dalla importante alcolicità. Buona persistenza gusto-olfattiva.
84/100

Schioppettino 2006 – Vigna Traverso
Terreno composto da marne ed arenarie esposto a nord-est.
Naso caratteristico. Buona freschezza. Non molto lunga la PAI.
84/100

Verticale annate 2003-1994:

Schioppettino 2003 – La Viarte
Un vino non particolarmente interessante né all’olfattiva né alla gustativa. Discreta persistenza gusto-olfattiva.
83/100.

Schioppettino 2001 – Petrussa
Vino interessante. Profumi intensi, vino di corpo, lungo in bocca.
88/100

Schioppettino 1999 – La Viarte
All’olfattiva profumi intensi ed interessanti. In bocca un po’ sottotono con una PAI non troppo lunga. 86/100

Schioppettino 1999 – Petrussa
Si distingue per un tannino molto vivace quasi aggressivo. Note di surmaturazione.
83/100

Schioppettino 1998 – Petrussa
Buon naso. Tannini anche in questo caso alquanto aggressivi.
83/100

Schioppettino 1997 – La Viarte
Al naso non molto interessante. Vino poco elegante che risente nettamente del passare del tempo pagando lo scotto di metodologie di vinificazione in quegli anni ancora da perfezionare.
80/100

Schioppettino 1994 – La Viarte
Vino che paga un pesante dazio al tempo. L’acidità ed il tannino percorrono strade parallele senza incontrarsi in modo armonico. Non c’è più corpo.
77/100

Solo un chiarimento relativo alle degustazioni.
La via tracciata dai produttori associati dello Schioppettino di Prepotto è stata lunga e difficoltosa e lo è ancora oggi nella convinzione di poter ottenere un vino sempre più interessante.
Evidentemente le annate antecedenti il ’99 denunciano imperfezioni ovvie per un percorso che era ancora ai suoi albori in termini di metodologie di allevamento e coltivazione in vigneto, vinificazione, maturazione ed affinamento. Dall’annata ’99, come si evince dalla verticale, c’è un netto stacco con il passato. Con le ultime annate poi, e ne è un chiaro esempio la 2006 oggetto della orizzontale, lo Schioppettino assume una veste totalmente diversa, matura e piena che ne esalta il carattere, l’eleganza e la personalità sottolineandone la sua unicità assoluta.

Il giorno successivo, sabato 4 luglio, centinaia di persone provenienti da tutta la regione e non solo, hanno avuto l’opportunità di prendere parte alla degustazione a banchi d’assaggio di tutte le etichette di Schioppettino dando vita ad una splendida festa che si è snodata tra le vie del borgo di Prepotto e che ha visto la partecipazione dei produttori, di artigiani dell’ alta gastronomia friulana, di scultori e pittori.


Ma cosa dire del nostro vero protagonista, lo Schioppettino di Prepotto?

Il mio primo incontro con lo Schioppettino di Prepotto è avvenuto a Trieste in un pomeriggio di qualche anno fa. Da quel momento si è magicamente creato un legame indissolubile che mi ha spinto a scoprire la storia di questo vitigno, i suoi diversi percorsi, le future prospettive.
Da subito mi resi conto di trovarmi davanti ad un vino di assoluto interesse, diverso, dall’anima elegante, dai profumi intensamente speziati; un vino fortemente espressivo del territorio d’origine, di grande piacevolezza e che racchiudeva in toto le caratteristiche di un vino moderno.
Il tempo non ha fatto altro che confermare quelle che allora erano state mie impressioni riconoscendo allo Schioppettino un successo che non è solo di un vitigno e di un vino, ma di un territorio naturalmente vocato e di vignaioli che proprio quel territorio hanno saputo interpretare con capacità, volontà, consapevolezza.

Nel territorio di Prepotto, lo Schioppettino, chiamato anche “Ribolla nera” o “Pokalça”, un tempo coltivato nella provincia di Udine sotto il nome di Scopp (Pietro di Maniaco, 1823), ha da sempre accompagnato, sopravvivendo ad esse, le travagliate vicende storiche ed umane che hanno interessato questa terra di confine e di commistione fra tradizioni socio-culturali italiche, austriache e slave.

Nel 1907, il Consorzio antifilosserico friulano ne consigliava l’utilizzo per i reimpianti, confermandone così l’adattamento all’ambiente e, implicitamente, anche il pregio enologico.

Nel 1921 l’Associazione Agraria Friulana pubblicò nel suo bollettino un elenco alfabetico delle varietà di vite coltivate in Friuli nel secolo precedente, fra cui citava la Ribolla nera, con un’annotazione del dottor A. Levi che la dichiarava originaria di Prepotto e la definiva “uva delicata”.

Nel 1939, il Poggi, nel suo fondamentale lavoro dedicato alla viticoltura friulana, affermò testualmente: “... vitigno che è coltivato quasi esclusivamente nel territorio collinare e pedecollinare del comune di Prepotto e specialmente nella sua frazione di Albana. La Ribolla nera, al di fuori del suo ambiente optimum, anche alla distanza di pochi chilometri, dà un vino che non possiede più quelle caratteristiche peculiari che lo rendono pregiato in quel di Prepotto col nome locale di Schioppettino ...”.

Del resto, nella sua “Guida delle Prealpi Giulie” del 1912, Olinto Marinelli, riferendosi al distretto di Cividale, già accennava alla Pokalça come vitigno fra i più coltivati e citava un documento risalente al 1282, riguardante le nozze Rieppi-Caucig, dal quale si ricava che la conca di Albana-Prepotto era in gran parte vitata.

Purtroppo però, il vitigno Schioppettino perse gradatamente d’importanza nel periodo post-fillosserico – destino peraltro comune a numerosissimi vitigni della nostra penisola – a favore di altri più produttivi e quindi remunerativi – soprattutto Tocai e Merlot – rischiando di scomparire definitivamente.
Nel '75 ricercando vinacce degli antichi vitigni autoctoni friulani, i Nonino scoprirono che i più rappresentativi – Ribolla, Schioppettino, Tazzelenghe e Pignolo – erano ormai prossimi all’estinzione essendone vietata la coltivazione e il 29 novembre, con lo scopo di farli ufficialmente riconoscere dagli organi nazionali e comunitari, diedero vita al Premio Nonino Risit d'Aur da assegnare annualmente al vignaiolo che avesse posto a dimora il miglior impianto di uno o più di questi vitigni anche se di proporzioni limitate.
Nel 1977 il Consiglio comunale di Prepotto si riunì in seduta straordinaria, con all’ordine del giorno la difesa dello Schioppettino, giunto ad un passo dalla scomparsa definitiva, deliberando all’unanimità la richiesta che fosse inserito almeno nell’elenco dei vitigni autorizzati, cosa che avvenne nel 1981.

Nel ’79 Maria Rieppi di Albana si meritò il Risit d’Aur proprio per i suoi impianti di Schioppettino.
Con il regolamento CEE 3582/83 lo Schioppettino fu finalmente incluso fra i vitigni raccomandati per la provincia di Udine e nel 1987 ottenne la denominazione di origine.

Nel giugno del 2008 la conclusione di un lungo cammino intrapreso nel 2002 dall’Associazione Produttori dello Schioppettino di Prepotto, il riconoscimento della sottozona Colli Orientali del Friuli “Schioppettino di Prepotto”, a sottolineare la forte impronta che un territorio, quello di Prepotto, sa regalare al suo vitigno d’elezione arricchendone la personalità e differenziandone in modo assoluto il carattere tanto da renderlo unico all’interno dell’intero vigneto Friuli.

L’origine del nome Schioppettino è incerta.
Probabilmente il nome onomatopeico, deriva dal fatto che lo Schioppettino, caratterizzato da elevata acidità fissa, dopo essere stato imbottigliato da giovane e aver quindi completato la fermentazione malolattica in bottiglia, diventava leggermente frizzante, dando l’impressione, sia all’udito che in bocca, di scoppiettare a causa dell’anidride carbonica sviluppata.
Si suppone inoltre che lo “schioppettare ” fosse prodotto, durante la masticazione, dall’uva matura caratterizzata da una buccia tesa e spessa.
Il vitigno ha trovato da sempre il suo habitat ideale nella valle del fiume Judrio affluente dell’Isonzo e teatro della prima azione bellica italiana nel corso della prima guerra mondiale.



L'episodio si verificò sul ponte di Brazzano in località Quattroventi nei pressi di Cormons. La notte fra il 23 e 24 maggio 1915, due finanzieri, Pietro Dell'Acqua e Costantino Carta, erano stati incaricati di sorvegliare il luogo. Alle ore 22.40 circa si accorsero che alcune ombre minacciose si avvicinavano alla sponda sinistra del ponte trasportando ingenti carichi. Ai finanzieri fu subito chiaro che i guastatori austriaci erano intenzionati a distruggere il ponte e quindi decisero di aprire il fuoco. La mattina dopo, sul ponte furono trovati attrezzi da mina e carichi di dinamite. L'anno successivo i due finanzieri ricevettero la medaglia di bronzo al valore militare ciascuno con la seguente motivazione: “unitamente ad un compagno impediva con prontezza ed energia la distruzione di un ponte militare importante”.



Ma la Valle dello Judrio è anche luogo magico, dimora misteriosa di tradizioni e leggende frutto di un patrimonio a cavallo fra il sacro ed il profano che i ceti contadini si tramandavano di padre in figlio. L’origine era spesso da individuare in reali paure generate in un sottobosco di ignoranza, povertà e credenze alle quali non era estranea la componente religiosa. Fobie che poi prendevano vita materializzandosi in qualcosa che la coscienza comune avrebbe voluto cancellare inconsapevolmente creando spesso il mostro da perseguitare come nel caso delle Storke, esseri femminili che frequentavano le numerose grotte situate lungo le sponde dello Judrio e del Natisone, la cui caratteristica era di avere i piedi rivolti all’indietro, una deformazione fisica che sicuramente avrebbe acceso la fantasia degli abitanti di quelle vallate.
In questo contesto, i fenomeni carsici hanno avuto un’importanza fondamentale ed hanno contribuito notevolmente ad alimentare credenze e leggende. Proprio le grotte, presenti in gran numero lungo il corso dello Judrio, sembra siano state la collocazione ideale di numerosi racconti animati da esseri demoniaci di diversa natura. Al di là di una facile interpretazione legata alla grotta come porta di accesso al mondo degli inferi, al regno dei morti, sembra che una spiegazione possa ricercarsi nelle vicende storiche di queste terre. In particolare, numerose sono le leggende in cui si narra di un tesoro nascosto in una grotta e custodito da un essere demoniaco. La cosa potrebbe facilmente ricondursi all’arrivo nell’alto Adriatico di tutte quelle genti, specialmente Greci ed Ebrei, in fuga dalle invasioni dei Turchi. Essi portavano con sé tesori e beni preziosi che con ogni probabilità, in un territorio carsico come quello del corso dello Judrio,
nascondevano facilmente in qualche pozzo o grotta; da qui è facile ipotizzare la creazione ad arte di un mostro che sorvegliasse l’antro stesso. Così il fenomeno carsico, col tempo, si è ammantato di leggenda.
Per non parlare poi degli skrati, esseri demoniaci che dispettosi mescolavano l’acqua alle donne intente a lavare rendendola torbida o dei folletti che disturbavano i carbonai nei boschi del Cum distruggendo e bruciando le cataste di legname per terminare infine con la figura dell’Orco raramente indicato come un essere cattivo o malvagio ma piuttosto come uno spirito che amava ingannare il viandante.
La valle dello Judrio è stata quindi anche luogo di tradizioni, paure, credenze fantastiche coperte dal velo della leggenda, tramandate oralmente ai posteri e radicatesi col tempo nell’immaginario delle popolazioni di queste contrade.

Ma, tornando più specificamente al mio amato Schioppettino, la valle dello Judrio presenta caratteristiche pedo-climatiche molto particolari che rendono questo territorio unico. Il vento secco e fresco che attraversa sistematicamente la vallata di Prepotto e Albana, contrasta in modo efficace il sorgere di malattie fungine e, nella fase di maturazione delle uve, crea escursioni termiche determinanti per il corredo aromatico dello Schioppettino.
La variabilità dei terreni è notevole: gli strati alluvionali dello Judrio, che scorre in una vallata chiusa dove si alternano marne, arenarie, rocce calcaree, si sovrappongono alle argille che piccoli corsi d’acqua hanno portato a valle dalle alture circostanti.

Tipica è la zona di Centa, con terreni caratterizzati da argille che hanno avuto origine da alcuni affioramenti di marne caratteristiche per il loro colore rossastro.
E’ fin troppo chiaro come la conoscenza delle interazioni fra il clima, i terreni e lo Schioppettino sia basilare per dare vita a vini che possano esprimere le peculiarità di questo mirabile territorio, che siano in grado di dar voce al terroir.


L’attività condotta dai produttori associati dello Schioppettino di Prepotto si è focalizzata sull’analisi dello stato vegetativo dei vigneti in relazione alla forma di allevamento, alla qualità del legno prodotto, agli interventi di potatura verde.


Maturata la dicisione, nel 2004, di sostituire la tradizionale forma di allevamento “capovolto” con il “Guyot” mono o bilaterale, forma questa più indicata per gli obiettivi qualitativi prefissati, i viticoltori hanno poi tentato di modificare la struttura dei vigneti al fine di privilegiare la parete fogliare per poter avere almeno 100/120 centimetri di foglia sopra i grappoli.



Dalle comparazioni successive effettuate in campo, è risultato evidente che la forma di allevamento a “Guyot” permetteva di ottenere con facilità la parete fogliare consigliata e, soprattutto, che i tralci
lignificavano con regolarità favorendo una buona maturazione dei grappoli.
Inoltre, la separazione della fascia produttiva da quella vegetativa permetteva di ridurre di molto i tempi impiegati in alcune fasi della potatura verde.







Nel 2003, un’indagine condotta capillarmente in tutti i vigneti di Prepotto alla ricerca di ceppi di Schioppettino con un’età di almeno 80 anni, ha permesso di individuare materiale genetico poi riprodotto e messo a dimora in un vigneto-catalogo che consentirà col tempo di valutare le diverse potenzialità produttive.
Il materiale raccolto è stato innestato su 101-14 (ibrido Riparia x Rupestris), portainnesto di medio-bassa vigoria che si adatta bene ai terreni fertili e freschi e, con un ciclo vegetativo più breve degli altri, è adatto anche alle zone fredde.
Le forme di allevamento realizzate sono: il “Guyot” monolaterale a 5/6 gemme, diffuso in gran parte dello Shioppettino in produzione; il “cordone speronato”, interessante per le indicazioni che fornisce riguardo la riduzione delle dimensioni dei grappoli; l’“alberello”, forma di allevamento di grande interesse per l’equilibrio produttivo e qualitativo con riduzione degli interventi di potatura verde.


Per quanto riguarda in particolare il disciplinare di produzione della sottozona, complesso è stato il confronto per individuare lo Schioppettino “tipo” di Prepotto.
Lo Schioppettino ha un’anima elegante e gentile, ricca di sfumature e riflessi unici. Note di piccoli frutti di bosco – in particolare mora, ribes nero e lampone – accompagnano ricordi floreali di violetta aprendo poi il campo a spezie che proprio nello Schioppettino di Prepotto hanno un vero e proprio “unicum”.
E allora la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata e, soprattutto, il pepe verde diventano protagonisti assoluti prima al naso e poi nell’assaggio in una danza che, nelle migliori versioni, diviene armonia ed equilibrio.

Un vino di bella freschezza, dalla sapidità sempre presente risultato di un territorio ricco di minerali – in particolare carbonato di calcio – che una volta assorbiti dall’apparato radicale, influenzano la stessa costituzione minerale ed organica delle bacche.
Tenendo in considerazione tutte queste peculiarità, i produttori hanno deciso di optare per la maturazione obbligatoria di un anno in legno, preferendo la barrique come contenitore ideale per rispettare gli aromi primari del vitigno che lo contraddistinguono in modo assoluto dal vasto panorama degli altri vini rossi.
Lo Schioppettino ha una natura leggiadra ed elegante, con tannini presenti ma vellutati e gentili, mai aggressivi. Per questo motivo sono stati scelti materiali con grado di tostatura basso, prediligendo l’utilizzo di legni di secondo passaggio.



Per quanto riguarda l’uso dell’appassimento, questa prassi tende a snaturare il vitigno privandolo dei suoi tipici profumi varietali, banalizzando il prodotto e pregiudicando quella freschezza nella beva tipica dello Schioppettino. Si potrebbe eventualmente pensare a riservare solo una piccola percentuale all’appassimento per regalare al vino maggiore concentrazione senza tuttavia mutarne le caratteristiche varietali.
Quell’ “uva delicata” oggi inizia quindi i primi passi di un nuovo capitolo della sua vita che la porterà a creare un rapporto sempre più stretto col territorio natio e d’elezione, il territorio di Prepotto, poiché solo quel territorio ha saputo darle nuova vita ed esaltarne il carattere donandole una bellezza unica.
E forse proprio quell’essere uva delicata, che non vuol dire altro che bevibilità, grande bevibilità, sarà l’arma vincente dello Schioppettino di Prepotto nel prossimo futuro. Non infatti un vino più da masticare che da bere, non un vino grasso e pesante, non un vino stancante, ma un vino dall’anima leggera e al contempo forte e persistente, da degustare giornalmente per accompagnare i pasti, dalla viva freschezza e dal contenuto alcolico ben contenuto. Se queste saranno le caratteristiche del vino del futuro, quelle che tra l’altro già il mercato sta manifestando da tempo, lo Schioppettino parte in pole position per assicurarsi un posto di assoluto rilievo. In bocca al lupo, Schioppettino di Prepotto !!!






DISCIPLINARE SOTTOZONA “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO”

Art. 1.
La denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli” accompagnata dalla specificazione “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” è riservata al vino ottenuto dalle uve di cui al seguente art. 2 prodotte dai vigneti della zona specificata nel successivo art. 3 e rispondenti alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente allegato al disciplinare di produzione dei vini DOC “Colli Orientali del Friuli”.

Art. 2
La denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli” con la qualificazione “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” è riservata ai vini ottenuti da uve del vitigno schioppettino prodotto nella zona indicata all'art. 3 del presente allegato. Possono concorrere alla produzione del vino Schioppettino anche le uve a bacca di colore analogo, facenti parte di quelli raccomandati ed autorizzati nella Provincia di Udine, e presenti nei vigneti in misura non superiore al 15% del totale. Per i tutti i nuovi impiantati realizzati successivamente alla pubblicazione del presente allegato tale limite è ridotto al 5%.

Art. 3.
Le uve destinate alla produzione del vino a denominazione di origine controllata “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” devono essere prodotte nella zona appresso indicata: esclusivamente nel Comune di Prepotto secondo le delimitazioni già stabilite dal disciplinare di produzione del D.O.C. Colli Orientali del Friuli art. 3, e con l’esclusione dei territori già ricompresi nella sottozona “CIALLA”, nonché dei terreni eccessivamente umidi o insufficientemente soleggiati.


Art. 4.
1. La produzione massima di uva ammessa per ottenere il vino: “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” è di 7 tonnellate per ettaro.
2. Tali rese devono comunque determinare un quantitativo di vino per ettaro atto per l’immissione al consumo non superiore a ettolitri 49.
3. Nei nuovi impianti e reimpianti le viti non potranno produrre mediamente più di Kg 1.55 di uva per ceppo per la tipologia “Schioppettino”. La densità dei ceppi per ettaro non potrà essere inferiore a 4.500 in coltura specializzata.
4. I sesti d'impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati e, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. E' vietata ogni pratica di forzatura, tuttavia è ammessa l'irrigazione di soccorso in casi eccezionali.
Art. 5.
1. Le operazioni di vinificazione delle uve per la produzione del vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” devono essere effettuate nell'interno della zona di produzione di cui all'art. 3. In deroga, tali operazioni possono essere effettuate nei comuni limitrofi e che siano pertinenti a conduttori di vigneti ammessi alla produzione di “Schioppettino di Prepotto”.
2. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare ai vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 12 per lo “Schioppettino”.
3. Per l' affinamento del vino del presente allegato è obbligatorio l'uso di botti di legno, per almeno 12 mesi.
4. La raccolta dell’uva deve essere eseguita manualmente.
Art. 6.
I vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto”, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche: “Schioppettino”
• colore: rosso rubino intenso con eventuali sfumature violacee;
• odore: tipico ed elegante, con sentore di spezie e piccoli frutti;
• sapore: vellutato, di corpo, secco, con sentore di pepe verde;
• titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12.5;
• acidità totale minima: 4,5 per mille;
• estratto secco netto minimo: 24 per mille.
Art. 7.
1. L’indicazione della sottozona “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO” in etichetta deve essere effettuata in posizione immediatamente sottostante all’indicazione della DOC e in caratteri non superiori, in dimensioni e ampiezza, a quelli utilizzati per indicare la denominazione stessa.
2. Il vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” dovrà essere posto in commercio non prima del mese di settembre del secondo anno successivo alla vendemmia.
3. Per il vino “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” non è consentita la specificazione “superiore”
4. La specificazione RISERVA può essere utilizzata qualora il vino venga posto in commercio non prima del mese di settembre del quarto anno successivo alla vendemmia.
5. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati e l’indicazione di fattorie, vigne, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.
6. I vini “Colli Orientali del Friuli Schioppettino di Prepotto” dovranno essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie di vetro, di tipo bordolese colore scuro, di capacità non superiore a litri 5 e chiuse con tappo di sughero.

Si ringraziano per i rilevanti contributi forniti l'Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto, il Dr. Carlo Petrussi ed il Dr.Claudio Fabbro.


01 April 2011

VINITALY 2011 Verona 7-11 aprile




• I PENTRI (CAMPANIA) PAD. B

• LA BUSE DAL LOF (FRIULI) PAD.6 STAND E7

• OCCHIPINTI (LAZIO) PAD. A

• BETTI (TOSCANA) PAD. 8 STAND D16

• PICCHIONI ANDREA (LOMBARDIA) PALAEXPO STAND C13

Il Friuli Venezia Giulia scommette su “Friulano”

Il Friuli Venezia Giulia scommette su “Friulano”,
storia nuova di un vino storico e di un territorio

“Friulano” come “Bordeaux” o “Chianti”, ovvero nome di un grande vino che vuole diventare anchesinonimo e ambasciatore riconosciuto nel mondo di un territorio ricco di eccellenze: è l’obiettivo ambizioso del Friuli Venezia Giulia che, dopo aver perso l’uso di “Tocai” per il suo bianco principe, causa assonanza del nome con il “Tokaj” ungherese (vino completamente diverso), ed esser passato per “Tocai Friulano”, ora punta deciso sul nuovo brand.

“Vogliamo promuovere il nuovo nome, inteso come sostantivo ma anche come aggettivo e sinonimo di tutto l’agroalimentare friulano e di una terra che produce tra i migliori vini bianchi al mondo - spiega a WineNews l’assessore alle Risorse Rurali della Regione, Claudio Violino - e il termine “Friulano” pare una scelta felice: abbina un nome ad un territorio”.

Un nuovo percorso che parte da Vinitaly 2011, dai cospicui finanziamenti per la promozione del nuovo nome stanziati come “risarcimento” per i produttori per la perdita del nome originario (10 milioni di euro, di cui 8 dal Ministero delle Politiche Agricole e 2 dalla Regione, quasi tutti già disponibili), e dalla nuova competenza in materia di promozione dell’agroalimentare, non più solo in capo all’assessorato al Turismo, ma anche all’Agricoltura grazie all’Ersa - Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale. “Un marchio, “Friulano”, che va sdoganato tra i produttori - aggiunge Violino - perché ha valore solo se, in primis, viene riconosciuto da loro, e poi dai consumatori”.

“Friulano” che, nelle intenzioni della Regione, vuole essere un vessillifero di tutta l’offerta enogastronomica, ma anche turistica, del Friuli Venezia Giulia. “Vogliamo far sì che i consumatori all’estero vengano a conoscere le terre in cui si producono i nostri prodotti agroalimentari e dire loro: “questo è il nostro vino, è buono, venite a vedere come si produce, qual è il know how del produttore, la cultura, il terroir che stanno dietro ad una bottiglia di vino, ad un’etichetta ad un prodotto”.

da Winenews.it

30 March 2011

Kerres de I Pentri, il Piedirosso dell’antico Sannio

4 novembre 2005

Piedirosso, piedirosso delle mie brame, qual è il più buono del Reame? Difficile rispondere a questa domanda, mai vitigno fu più diffuso e indecifrabile di questo, mai il suo varietale poco gradevole è stato sempre così netto e facilmente decifrabile nel corso degli anni. Secondo Riccardo Cotarella è il vitigno più difficile della Campania, lo stesso vigneto regala risultati completamente diversi da una vendemmia all’altra e nonostante lui sia al lavoro da dodici anni all’ombra del Vesuvio non è riuscito ancora a dominarlo. Abbiamo naturalmente decine di esempi di corretti Piedirosso in purezza, ma solo tre ci hanno davvero stupito e coinvolto emotivamente. All’inizio fu il Montegauro di Grotta del Sole, poi, abbiamo già avuto modo di parlarne, l’Agnanum Vigna delle Volpi di Raffaele Moccia, figlio di una vigna negli Astroni, pensato da Maurizio De Simone.

Il terzo è il Kerres che annuncia la sua ambizione di grande vino dal prezzo di uscita e dal colore rosso rubino cupo e impenetrabile, come raramente accade a questo vitigno usato da sempre per tagliare l’aglianico ammorbidendolo. II suo cuore è nei Campi Flegrei dove fa il paio con la Falanghina, ma nel Beneventano alcuni hanno cominciato a lavorarci seriamente, prima Mimmo Ocone, adesso Paolo Cotroneo nella sua Fattoria La Rivolta. Il Kerres 2003 ha goduto sicuramente di una stagione particolare, la siccità e il gran caldo hanno favorito la concentrazione e spesso la cottura della frutta come ben si evince dalla maggioranza dei bianchi che faticano a superare il traguardo dei due anni senza scivolare nel giallo paglierino carico. Ma, cari amici, è uno di quei bicchieri da incorniciare, come solo Angelo Valentino sta dimostrando di fare ovunque mette mano: un rossista nato, questo giovane della bottega di Luigi Moio che si è fatto le ossa nei primi anni eroici di Caggiano, parliamo dal 1994 al 1998.

 I Pentri, il nome è quello della più importante tribù sannita a cui è stata anche intitolata una delle tre doc Molisane, quella in provincia di Isernia pur non essendoci alcuna cantina che imbottiglia, è una consolidata realtà di Castelvenere, la capitale del vino campano per quantità di bottiglie e numero di aziende. Nove ettari ben esposti a Sud nella campagna quasi ai confini con Guardia, una moderna struttura, che abbiamo visto evolvere con serietà, completata lo scorso anno, sorvegliata da una spettacolare pianta di olivo avvolta dall’alloro, curata da Dionisio Meola e dalla moglie Lia Falato. Piedirosso sia, dunque, equilibrato, ben strutturato, dotato di buona complessità olfattiva, da bere su un bel piatto di fegato alla veneziana.

di Luciano Pignataro

Sannio, l’antica Falanghina de I Pentri

11.08.2006
 
Finalmente. Finalmente. Finalmente. È uscito in commercio il primo bianco campano invecchiato, badate, non da invecchiamento: è questa Falanghina 2002 pensata da Angelo Valentino per la giovane azienda i Pentri fondata da Dionisio Meola e dalla moglie Lia Falato. Si chiama Flora Grande Momento ed è un bicchiere elegante e fine, capace di sfidare le bottiglie di Gravner e i bianchi alsaziani, grazie alla vendemmia studiata sui tempi e sulla presenza di muffe nobili, la conferma dell’aspirazione di questo bel vitigno sannita a sfidare il tempo e l’ignoranza dei ristoratori e di gran parte dei consumatori.
 
Già, perché non bisogna essere esperti per capire che tutti i bianchi campani andrebbero bevuti non prima di due anni per la mineralità e la freschezza urlata dal terreno nei bicchieri. In passato avevamo avuto molte prove della longevità di Falanghina e Coda di Volpe sannite dimenticate e ritrovate dopo quattro, cinque anni. Adesso, girando nei vicoli misteriosi di Guardia Sanframondi con Alfonso Iaccarino e il nuovo governatore campano di Slow Food Nino Pascale, ci imbattiamo naturalmente nel Kerres, un Piedirosso muscoloso di cui ha scritto anche Gianni Mura che trovate a Sant’Agata dei due Golfi.
 
Improvvisamente Lia Falato tira fuori a sorpresa questo Beneventano igt 2002 da poco in commercio, duemila bottiglie a meno di dieci euro che hanno resistito alle mille pressioni per essere bevute in anticipo. Così passa alla storia la tredicesima edizione di Vinalia, la manifestazione terminata ieri alla grande che rientra nel progetto InNatura promosso e gestito da Artsannio: qui è venuto alla luce il primo bianco campano invecchiato. In effetti, se si aspetta per i rossi, perché non fare lo stesso con i bianchi? Ogni anno nelle enoteche e nei ristoranti si celebra la strage degli innocenti, ossia l’apertura di milioni di bottiglie della vendemmia precedente che andrebbero bevute molto, molto dopo. Questa Falanghina de I Pentri mi ha ricordato una 2000 di Devi e in qualche modo persino il Facetus 2002 di Fontanavecchia: ci hanno stupito i sentori di frutta fresca, addirittura mela verde, erbe di campo, intense e persistenti al naso mentre in bocca la struttura è impressionante, l’alcol supportato dalla freschezza, l’ingresso ha un grande piglio autorevole, deciso.
 
Questa Falanghina la beviamo allora sulla mozzarella di bufala, su caciocavalli non stagionati e soprattutto sui prosciutti della vicina Pietraroja, in attesa del prossimo appuntamento del magico Sannio: a Castelvenere dal 25 al 27 dove si svolgerà la sfida tra la Falanghina beneventana e i bianchi di Malta.
 
di Luciano Pignataro


Un pomeriggio da I Pentri

 05.03.2007

Tutto sommato è semplice aprire il librone di turno e scegliere l’etichetta più grappolata o bicchierata o stellata o …. insomma ci siamo capiti: felici noi e felici saranno gli ospiti della nostra tavola. Tutt’altra storia invece è andare a cercare quella chicca di cui nessuno (o quasi) ha mai sentito parlare, metterlo in tavola e vedere le facce sbigottite degli amici che non credono alle loro papille e alle loro orecchie, sentendo quanto l’hai pagato: se poi gli racconti il pomeriggio che hai passato in compagnia di chi quel vino non solo lo produce, ma lo accompagna per mano con amorevole cura, allora i calici si riempiono di passione.

Non è comunque facile riuscire a trasmettere le sensazioni del pomeriggio trascorso con Dionisio e Lina, 20 anni spesi in vigna e da 5 che etichettano per conto proprio: il mio invito torna ad essere quello di muoversi dalle sedie e dagli schermi di pc per andare a cercare il vino sul campo… non c’è modo più ricco ed intenso di viverlo! I Pentri prendono il nome da una antica tribù sannita che popolava l’area in cui attualmente sorge l’azienda: la strada che percorrerete per arrivare a Castelvenere è costeggiata, a destra e a manca, da una distesa interminabile di vigneti che si adagiano sulle dolci pianure e colline locali… siamo nel comune più vitato della Campania. Arriviamo un po’ prima dell’orario concordato, proviamo a tenerci in disparte ma in pochi minuti compare Lia sull’uscio e ci invita ad entrare: si scusa dei panni di lavoro ma veniva da una potatura di uliveti… personalmente, preferisco di gran lunga così che in giacca e cravatta.

Dopo poco ci raggiunge Dionisio e si intavola la discussione; arrivano anche le prime bottiglie. Si parla, guarda caso, delle guide in cui non sono presenti, delle difficoltà che si incontrano a presentare un prodotto ad 1 anno dalla commercializzazione standardizzata, della scelta di optare per la IGT per essere liberi di autodisciplinarsi, di non usare i legni sui bianchi per produrre prodotti importanti (finalmente!), dei lieviti indigeni utilizzati (“compro ogni anno i lieviti selezionati” confessa Dionisio “perché non sai mai la natura che scherzo ti può fare, ma finisco per buttarli sistematicamente”). Saltano via i primi tappi e Lia compare con del pane con i cicoli, salamini di produzione propria e taralli.

Iniziamo con Flora, la falanghina “d’annata”, la 2005: splendido da subito, ricco ed avvolgente al naso, forse appena un accenno di diluizione al palato, ma l’acidità, pur non assestandosi su livelli da guinnes, è assolutamente tagliente. Lungo ma non lunghissimo, si arricchisce di ricordi di polvere da sparo, minerali e a tratti quasi metalliche, tradendo il lungo lavoro fatto sui lieviti. Arrivano quindi la 2003 e anche la 2002 (da bottiglia già aperta): la prima ha un potere ammaliante straordinario e il naso mi conquista all’istante! Ampio, ricco, opulento già dopo una breve ossigenazione: tutte le note fruttate e minerali che abbiamo trovato nella 2005 sembrano qui aver raggiunto una nitidezza ancora maggiore, con contorni decisi e ben definiti, pur perfettamente tra loro integrati. La beva è qui lunghissima, grassa, sapida, ma la freschezza non ha ceduto di un millimetro, essendo solo meglio bilanciata dalla morbidezza. Attenzione! Qui non si chardonneggia neanche per sogno! Al bando ogni pastosità mascellare… qui c’è da bersi tutta la vigna senza stancarsi. Stupefacente anche la 2002 che, pur avendo perso i vertici d’intensità della 2003 a causa della bottiglia già aperta, al palato non ha ceduto assolutamente niente all’età, mostrando diversità dovute solo alla peculiarità dell’annata. Non so quante bottiglie avessero ma io ho fatto scorte consistenti per me.

Non contenti di stupire, giocano la carta del “taglio”: il Perna, ovvero Falanghina, Fiano e Malvasia (non aromatica). Il naso, se è possibile, si presenta ancora più originale e conturbante, arricchito di sentori vegetali e resinosi, quasi di macchia mediterranea. Al palato forse delude un filino le aspettative create al naso, ma rimane un prodotto di grande interesse; aspettiamo il fiano in purezza, per uno scontro/incontro con i cugini irpini e cilentani.

Via con i rossi: innanzitutto l’Imbres, anche qui un taglio, Aglianico, Sciascinoso e Cabernet Sauvignon (originario della zona): un prodotto sicuramente ben fatto che però non brilla particolarmente in originalità.

Tutt’altra storia l’Aglianico: generoso, rustico e delicato, lavorato solo acciaio invade il palato con una freschezza invidiabile e un tannino che ha già perso le punte più graffianti. Il frutto non è polposo ma gentile, così come il floreale, accompagnato da un leggero terziario naturale del vitigno.

Arriviamo quindi al Kerres, vino di punta dell’azienda, Piedirosso al 100% con un prolungato invecchiamento in rovere: è uno dei pochi piedirosso lavorati in purezza capaci di emozionare (ricordiamo il Montegauro di Grotta del Sole, l'Agnanum Vigna delle Volpi di Raffaele Moccia e, prendendoci una certa libertà, il Per’ ‘e Palummo di Casa D’Ambra) ed il motivo è presto detto. Dionisio ci confessa che è un vitigno estremamente difficile da lavorare, molto soggetto all’annata e dal carattere piuttosto sfuggente: evidentemente il suolo sannita regala una spinta in più a quest’uva! L’annata è la 2003, il colore è un nero inchiostro con riflessi melanzana, la consistenza appare piuttosto alta. Il naso è impegnativo, il frutto sembra voler giocare a nascondino con gli aromi terragni da un lato e le suggestioni del rovere, piuttosto presente, dall’altro. Anche al palato si conferma di sostanza, con tannini molto ben delineati, freschezza su buoni livelli e potente corposità: più ancora che al naso, la frutta sembra faticare a ritagliarsi uno spazio e solo dopo prolungata ossigenazione emerge una frutta di bosco a bacca nera, ma sempre piuttosto timida. Considerata la tipicità del vitigno, il risultato raggiunto è stupefacente: forse dovrebbe solo liberarsi un po’ dal complesso aromatico fornito dal rovere, lasciando più spazio a quel fruttato che il vitigno può offrire.

Si potrebbe pensare che il pomeriggio, ormai diventata sera inoltrata, sia finito qui, ma i nostri ospiti hanno ancora un paio di cartucce da sparare: arriva una malvasia in purezza… titolo alcolico oltre i 17°! Si, avete letto bene…“Non l’abbiamo voluta noi, è la natura che ce l’ha fatta!” ci confessa Lia: l’idea era quella di fare una malvasia da vendemmia tardiva che conservasse un residuo zuccherino, ma dopo la solfitazione per bloccare i lieviti, questi hanno lentamente ripreso vigore, fino a mangiarsi tutto lo zucchero… friggendo in barrique sotto una coltre di neve. Il naso ricorda quello del passito, senza però le sensazioni dolciastre: frutta gialla essiccata, tabacco dolce fresco, camomilla e spezie orientali. In bocca l’alcol è assolutamente integrato a dispetto dei numeri e la freschezza anche qui non indietreggia nulla… veramente incredibile! “Si però alla fine ci siamo riusciti a fare il passito”… ed ecco che spunta una nuova bottiglia, anche questa senza etichetta: Fiano e Malvasia in egual misura, i profumi ricordano quelli della bottiglia precedente, arricchiti e sfumati dal contributo dato dal Fiano, ma allo stesso tempo ulteriormente concentrati. La beva è piacevolissima e mai stucchevole, da poter durare all’infinito: veramente l’acidità e la freschezza sono i caratteri distintivi del loro lavoro duro e tenace. Ci infilano in un cartone tutte le bottiglie stappate e ci salutano con grandi sorrisi, con la promessa di tornare presto… promessa impossibile da tradire!

di Vittorio Guerrazzi
Segretario Associazione Terra di Vino
www.terradivino.it

23 March 2011

PASQUA 2011 Ristorante Al Monastero - Cividale del Friuli

Il Ristorante Al Monastero propone:

Aperitivo
Cin Cin Mille Auguri!!

Antipasti

Cruditè di Vitello con sciroppo d’Acero su misticanza di Germogli

Saccottino di Sfoglia con Asparagi verdi e spuma d’Uovo

Primi Piatti

Crema di Melanzane in ciotola di Pane Con Bocconcini di Mozzarella

Risottino allo Sclopit e cubetti di Pitina

Paccheri ripieni alle Verdure gratinati con Ricotta fumada


Sorbetto al Sambuco

Secondi Piatti

Bocconcini di Coniglio brasato su Polentina

Tagliata di Petto d’Anatra ai Pistacchi su Insalatina e Patate allo yogurt


Dolcezza Pasquale


Cristina e il suo Staff

augurano a Tutti Buona Pasqua !!!
http://www.almonastero.com/

VINITALY 2011 - FATTORIA BETTI (TUSCANY) PAD.8 D16

VINITALY 2011




Saranno presenti alla prossima 45° edizione, dal 7 all'11 aprile 2011 del Vinitaly 2011:

Padiglione TOSCANA stand D 16.

Vi aspettano !!!

Società Agricola Betti


Via Boschetti e Campano, 66

51039 Quarrata (PT)

http://www.fattoriabetti.it/