Followers

30 March 2011

Kerres de I Pentri, il Piedirosso dell’antico Sannio

4 novembre 2005

Piedirosso, piedirosso delle mie brame, qual è il più buono del Reame? Difficile rispondere a questa domanda, mai vitigno fu più diffuso e indecifrabile di questo, mai il suo varietale poco gradevole è stato sempre così netto e facilmente decifrabile nel corso degli anni. Secondo Riccardo Cotarella è il vitigno più difficile della Campania, lo stesso vigneto regala risultati completamente diversi da una vendemmia all’altra e nonostante lui sia al lavoro da dodici anni all’ombra del Vesuvio non è riuscito ancora a dominarlo. Abbiamo naturalmente decine di esempi di corretti Piedirosso in purezza, ma solo tre ci hanno davvero stupito e coinvolto emotivamente. All’inizio fu il Montegauro di Grotta del Sole, poi, abbiamo già avuto modo di parlarne, l’Agnanum Vigna delle Volpi di Raffaele Moccia, figlio di una vigna negli Astroni, pensato da Maurizio De Simone.

Il terzo è il Kerres che annuncia la sua ambizione di grande vino dal prezzo di uscita e dal colore rosso rubino cupo e impenetrabile, come raramente accade a questo vitigno usato da sempre per tagliare l’aglianico ammorbidendolo. II suo cuore è nei Campi Flegrei dove fa il paio con la Falanghina, ma nel Beneventano alcuni hanno cominciato a lavorarci seriamente, prima Mimmo Ocone, adesso Paolo Cotroneo nella sua Fattoria La Rivolta. Il Kerres 2003 ha goduto sicuramente di una stagione particolare, la siccità e il gran caldo hanno favorito la concentrazione e spesso la cottura della frutta come ben si evince dalla maggioranza dei bianchi che faticano a superare il traguardo dei due anni senza scivolare nel giallo paglierino carico. Ma, cari amici, è uno di quei bicchieri da incorniciare, come solo Angelo Valentino sta dimostrando di fare ovunque mette mano: un rossista nato, questo giovane della bottega di Luigi Moio che si è fatto le ossa nei primi anni eroici di Caggiano, parliamo dal 1994 al 1998.

 I Pentri, il nome è quello della più importante tribù sannita a cui è stata anche intitolata una delle tre doc Molisane, quella in provincia di Isernia pur non essendoci alcuna cantina che imbottiglia, è una consolidata realtà di Castelvenere, la capitale del vino campano per quantità di bottiglie e numero di aziende. Nove ettari ben esposti a Sud nella campagna quasi ai confini con Guardia, una moderna struttura, che abbiamo visto evolvere con serietà, completata lo scorso anno, sorvegliata da una spettacolare pianta di olivo avvolta dall’alloro, curata da Dionisio Meola e dalla moglie Lia Falato. Piedirosso sia, dunque, equilibrato, ben strutturato, dotato di buona complessità olfattiva, da bere su un bel piatto di fegato alla veneziana.

di Luciano Pignataro

Sannio, l’antica Falanghina de I Pentri

11.08.2006
 
Finalmente. Finalmente. Finalmente. È uscito in commercio il primo bianco campano invecchiato, badate, non da invecchiamento: è questa Falanghina 2002 pensata da Angelo Valentino per la giovane azienda i Pentri fondata da Dionisio Meola e dalla moglie Lia Falato. Si chiama Flora Grande Momento ed è un bicchiere elegante e fine, capace di sfidare le bottiglie di Gravner e i bianchi alsaziani, grazie alla vendemmia studiata sui tempi e sulla presenza di muffe nobili, la conferma dell’aspirazione di questo bel vitigno sannita a sfidare il tempo e l’ignoranza dei ristoratori e di gran parte dei consumatori.
 
Già, perché non bisogna essere esperti per capire che tutti i bianchi campani andrebbero bevuti non prima di due anni per la mineralità e la freschezza urlata dal terreno nei bicchieri. In passato avevamo avuto molte prove della longevità di Falanghina e Coda di Volpe sannite dimenticate e ritrovate dopo quattro, cinque anni. Adesso, girando nei vicoli misteriosi di Guardia Sanframondi con Alfonso Iaccarino e il nuovo governatore campano di Slow Food Nino Pascale, ci imbattiamo naturalmente nel Kerres, un Piedirosso muscoloso di cui ha scritto anche Gianni Mura che trovate a Sant’Agata dei due Golfi.
 
Improvvisamente Lia Falato tira fuori a sorpresa questo Beneventano igt 2002 da poco in commercio, duemila bottiglie a meno di dieci euro che hanno resistito alle mille pressioni per essere bevute in anticipo. Così passa alla storia la tredicesima edizione di Vinalia, la manifestazione terminata ieri alla grande che rientra nel progetto InNatura promosso e gestito da Artsannio: qui è venuto alla luce il primo bianco campano invecchiato. In effetti, se si aspetta per i rossi, perché non fare lo stesso con i bianchi? Ogni anno nelle enoteche e nei ristoranti si celebra la strage degli innocenti, ossia l’apertura di milioni di bottiglie della vendemmia precedente che andrebbero bevute molto, molto dopo. Questa Falanghina de I Pentri mi ha ricordato una 2000 di Devi e in qualche modo persino il Facetus 2002 di Fontanavecchia: ci hanno stupito i sentori di frutta fresca, addirittura mela verde, erbe di campo, intense e persistenti al naso mentre in bocca la struttura è impressionante, l’alcol supportato dalla freschezza, l’ingresso ha un grande piglio autorevole, deciso.
 
Questa Falanghina la beviamo allora sulla mozzarella di bufala, su caciocavalli non stagionati e soprattutto sui prosciutti della vicina Pietraroja, in attesa del prossimo appuntamento del magico Sannio: a Castelvenere dal 25 al 27 dove si svolgerà la sfida tra la Falanghina beneventana e i bianchi di Malta.
 
di Luciano Pignataro


Un pomeriggio da I Pentri

 05.03.2007

Tutto sommato è semplice aprire il librone di turno e scegliere l’etichetta più grappolata o bicchierata o stellata o …. insomma ci siamo capiti: felici noi e felici saranno gli ospiti della nostra tavola. Tutt’altra storia invece è andare a cercare quella chicca di cui nessuno (o quasi) ha mai sentito parlare, metterlo in tavola e vedere le facce sbigottite degli amici che non credono alle loro papille e alle loro orecchie, sentendo quanto l’hai pagato: se poi gli racconti il pomeriggio che hai passato in compagnia di chi quel vino non solo lo produce, ma lo accompagna per mano con amorevole cura, allora i calici si riempiono di passione.

Non è comunque facile riuscire a trasmettere le sensazioni del pomeriggio trascorso con Dionisio e Lina, 20 anni spesi in vigna e da 5 che etichettano per conto proprio: il mio invito torna ad essere quello di muoversi dalle sedie e dagli schermi di pc per andare a cercare il vino sul campo… non c’è modo più ricco ed intenso di viverlo! I Pentri prendono il nome da una antica tribù sannita che popolava l’area in cui attualmente sorge l’azienda: la strada che percorrerete per arrivare a Castelvenere è costeggiata, a destra e a manca, da una distesa interminabile di vigneti che si adagiano sulle dolci pianure e colline locali… siamo nel comune più vitato della Campania. Arriviamo un po’ prima dell’orario concordato, proviamo a tenerci in disparte ma in pochi minuti compare Lia sull’uscio e ci invita ad entrare: si scusa dei panni di lavoro ma veniva da una potatura di uliveti… personalmente, preferisco di gran lunga così che in giacca e cravatta.

Dopo poco ci raggiunge Dionisio e si intavola la discussione; arrivano anche le prime bottiglie. Si parla, guarda caso, delle guide in cui non sono presenti, delle difficoltà che si incontrano a presentare un prodotto ad 1 anno dalla commercializzazione standardizzata, della scelta di optare per la IGT per essere liberi di autodisciplinarsi, di non usare i legni sui bianchi per produrre prodotti importanti (finalmente!), dei lieviti indigeni utilizzati (“compro ogni anno i lieviti selezionati” confessa Dionisio “perché non sai mai la natura che scherzo ti può fare, ma finisco per buttarli sistematicamente”). Saltano via i primi tappi e Lia compare con del pane con i cicoli, salamini di produzione propria e taralli.

Iniziamo con Flora, la falanghina “d’annata”, la 2005: splendido da subito, ricco ed avvolgente al naso, forse appena un accenno di diluizione al palato, ma l’acidità, pur non assestandosi su livelli da guinnes, è assolutamente tagliente. Lungo ma non lunghissimo, si arricchisce di ricordi di polvere da sparo, minerali e a tratti quasi metalliche, tradendo il lungo lavoro fatto sui lieviti. Arrivano quindi la 2003 e anche la 2002 (da bottiglia già aperta): la prima ha un potere ammaliante straordinario e il naso mi conquista all’istante! Ampio, ricco, opulento già dopo una breve ossigenazione: tutte le note fruttate e minerali che abbiamo trovato nella 2005 sembrano qui aver raggiunto una nitidezza ancora maggiore, con contorni decisi e ben definiti, pur perfettamente tra loro integrati. La beva è qui lunghissima, grassa, sapida, ma la freschezza non ha ceduto di un millimetro, essendo solo meglio bilanciata dalla morbidezza. Attenzione! Qui non si chardonneggia neanche per sogno! Al bando ogni pastosità mascellare… qui c’è da bersi tutta la vigna senza stancarsi. Stupefacente anche la 2002 che, pur avendo perso i vertici d’intensità della 2003 a causa della bottiglia già aperta, al palato non ha ceduto assolutamente niente all’età, mostrando diversità dovute solo alla peculiarità dell’annata. Non so quante bottiglie avessero ma io ho fatto scorte consistenti per me.

Non contenti di stupire, giocano la carta del “taglio”: il Perna, ovvero Falanghina, Fiano e Malvasia (non aromatica). Il naso, se è possibile, si presenta ancora più originale e conturbante, arricchito di sentori vegetali e resinosi, quasi di macchia mediterranea. Al palato forse delude un filino le aspettative create al naso, ma rimane un prodotto di grande interesse; aspettiamo il fiano in purezza, per uno scontro/incontro con i cugini irpini e cilentani.

Via con i rossi: innanzitutto l’Imbres, anche qui un taglio, Aglianico, Sciascinoso e Cabernet Sauvignon (originario della zona): un prodotto sicuramente ben fatto che però non brilla particolarmente in originalità.

Tutt’altra storia l’Aglianico: generoso, rustico e delicato, lavorato solo acciaio invade il palato con una freschezza invidiabile e un tannino che ha già perso le punte più graffianti. Il frutto non è polposo ma gentile, così come il floreale, accompagnato da un leggero terziario naturale del vitigno.

Arriviamo quindi al Kerres, vino di punta dell’azienda, Piedirosso al 100% con un prolungato invecchiamento in rovere: è uno dei pochi piedirosso lavorati in purezza capaci di emozionare (ricordiamo il Montegauro di Grotta del Sole, l'Agnanum Vigna delle Volpi di Raffaele Moccia e, prendendoci una certa libertà, il Per’ ‘e Palummo di Casa D’Ambra) ed il motivo è presto detto. Dionisio ci confessa che è un vitigno estremamente difficile da lavorare, molto soggetto all’annata e dal carattere piuttosto sfuggente: evidentemente il suolo sannita regala una spinta in più a quest’uva! L’annata è la 2003, il colore è un nero inchiostro con riflessi melanzana, la consistenza appare piuttosto alta. Il naso è impegnativo, il frutto sembra voler giocare a nascondino con gli aromi terragni da un lato e le suggestioni del rovere, piuttosto presente, dall’altro. Anche al palato si conferma di sostanza, con tannini molto ben delineati, freschezza su buoni livelli e potente corposità: più ancora che al naso, la frutta sembra faticare a ritagliarsi uno spazio e solo dopo prolungata ossigenazione emerge una frutta di bosco a bacca nera, ma sempre piuttosto timida. Considerata la tipicità del vitigno, il risultato raggiunto è stupefacente: forse dovrebbe solo liberarsi un po’ dal complesso aromatico fornito dal rovere, lasciando più spazio a quel fruttato che il vitigno può offrire.

Si potrebbe pensare che il pomeriggio, ormai diventata sera inoltrata, sia finito qui, ma i nostri ospiti hanno ancora un paio di cartucce da sparare: arriva una malvasia in purezza… titolo alcolico oltre i 17°! Si, avete letto bene…“Non l’abbiamo voluta noi, è la natura che ce l’ha fatta!” ci confessa Lia: l’idea era quella di fare una malvasia da vendemmia tardiva che conservasse un residuo zuccherino, ma dopo la solfitazione per bloccare i lieviti, questi hanno lentamente ripreso vigore, fino a mangiarsi tutto lo zucchero… friggendo in barrique sotto una coltre di neve. Il naso ricorda quello del passito, senza però le sensazioni dolciastre: frutta gialla essiccata, tabacco dolce fresco, camomilla e spezie orientali. In bocca l’alcol è assolutamente integrato a dispetto dei numeri e la freschezza anche qui non indietreggia nulla… veramente incredibile! “Si però alla fine ci siamo riusciti a fare il passito”… ed ecco che spunta una nuova bottiglia, anche questa senza etichetta: Fiano e Malvasia in egual misura, i profumi ricordano quelli della bottiglia precedente, arricchiti e sfumati dal contributo dato dal Fiano, ma allo stesso tempo ulteriormente concentrati. La beva è piacevolissima e mai stucchevole, da poter durare all’infinito: veramente l’acidità e la freschezza sono i caratteri distintivi del loro lavoro duro e tenace. Ci infilano in un cartone tutte le bottiglie stappate e ci salutano con grandi sorrisi, con la promessa di tornare presto… promessa impossibile da tradire!

di Vittorio Guerrazzi
Segretario Associazione Terra di Vino
www.terradivino.it

23 March 2011

PASQUA 2011 Ristorante Al Monastero - Cividale del Friuli

Il Ristorante Al Monastero propone:

Aperitivo
Cin Cin Mille Auguri!!

Antipasti

Cruditè di Vitello con sciroppo d’Acero su misticanza di Germogli

Saccottino di Sfoglia con Asparagi verdi e spuma d’Uovo

Primi Piatti

Crema di Melanzane in ciotola di Pane Con Bocconcini di Mozzarella

Risottino allo Sclopit e cubetti di Pitina

Paccheri ripieni alle Verdure gratinati con Ricotta fumada


Sorbetto al Sambuco

Secondi Piatti

Bocconcini di Coniglio brasato su Polentina

Tagliata di Petto d’Anatra ai Pistacchi su Insalatina e Patate allo yogurt


Dolcezza Pasquale


Cristina e il suo Staff

augurano a Tutti Buona Pasqua !!!
http://www.almonastero.com/

VINITALY 2011 - FATTORIA BETTI (TUSCANY) PAD.8 D16

VINITALY 2011




Saranno presenti alla prossima 45° edizione, dal 7 all'11 aprile 2011 del Vinitaly 2011:

Padiglione TOSCANA stand D 16.

Vi aspettano !!!

Società Agricola Betti


Via Boschetti e Campano, 66

51039 Quarrata (PT)

http://www.fattoriabetti.it/